Commissione europea, partenza in salita

La Commissione europea

Luce verde da parte del Parlamento europeo. La nuova Commissione ha finalmente ottenuto la fiducia per cominciare a “governare” l’Unione europea dal primo dicembre. E’ difficile ricordare tempi così deprimenti e complicati, sul piano politico-istituzionale europeo, all’avvio di una nuova legislatura. Ad esserne colpita è stata innanzitutto la Commissione che ha dovuto, per la prima volta nella storia dell’Unione, rinviare di un mese il proprio insediamento. La causa è stata la bocciatura, anche questa da primato, da parte del Parlamento Europeo di ben tre candidati commissari. Non è stato davvero un buon inizio per Ursula von der Leyen, costretta a rinviare i progetti che aveva a cuore, con il rischio di perdere parte dello slancio iniziale, appena eletta presidente della Commissione. Ma questa difficile partenza fa intravvedere già da subito le difficoltà che il dialogo fra le istituzioni incontrerà nei prossimi mesi ed anni.

Tutto ha naturalmente inizio con le elezioni del Parlamento europeo. I quasi-festeggiamenti di scampato pericolo per non avere assistito, come temuto, ad un’affermazione maggioritaria delle forze nazionaliste sono durati ben poco. Già l’elezione a luglio della von der Leyen con una risicatissima maggioranza (solo 9 voti) ha fatto scattare un primo campanello d’allarme sulla tenuta dei partiti pro-europeisti usciti non sconfitti, ma fortemente ridimensionati, dall’ultima tornata elettorale.

La controprova si è avuta qualche settimana dopo nel corso di un voto parlamentare sulla risoluzione in favore dell’apertura dei porti alle navi cariche di migranti delle Ong, respinta anche se con un margine ristretto di soli 2 voti. Ciò significa che i sentimenti nazionalisti non sono confinati nell’arco dei movimenti dichiaratamente tali, ma che su alcune questioni, come l’immigrazione, il fronte pro-europeo è facilmente penetrabile. Al contrario, i sovranisti, anche se divisi fra di loro, riescono a trovare una forte coesione allorché si affrontano battaglie antieuropee.

A complicare ulteriormente il quadro politico futuro è lo scontro aperto fra il Parlamento Europeo e il Consiglio. Il rifiuto appena ricordato dei tre candidati di Francia, Ungheria e Romania ne è il primissimo segnale. La ragione, oltre che per le questioni specifiche relative ai tre casi in questione, è da ritrovare nella quasi unanime decisione dei governi dell’Unione di non utilizzare la procedura dei cosiddetti “spitzenkandidaten” che avrebbe dovuto, come nel caso del predecessore Jean-Claude Junker, “obbligare” il Consiglio europeo ad accettare il capolista del partito più votato dagli elettori (Manfred Weber del PPE).

Questo braccio di ferro iniziale fra Parlamento Europeo e Consiglio non è una buona notizia, anche perché sarà difficile per l’Assemblea di Strasburgo sostenerlo in futuro, proprio alla luce della frammentazione partitica uscita dalle recenti elezioni e della conseguente difficoltà di mettere assieme solide maggioranze.

Si aggiunga poi la minore legittimazione politica della stessa Commissione, che ha visto il nome della propria Presidente uscire a sorpresa dal cappello a cilindro di un accordo imposto dall’alto, con “un’operazione di palazzo” come si direbbe dalle nostre parti, dettata ancora una volta dalla coppia franco-tedesca. Il dialogo inter-istituzionale si profila quindi come particolarmente complesso, certamente più difficile di quanto non sia stato negli anni passati.

Una Commissione indebolita politicamente e un Parlamento meno coeso avranno vita molto difficile nel costruire un fronte unito e propositivo verso i capi di Stato e governo. Sembra davvero che le tendenze verso un’Unione sempre più intergovernativa non siano destinate a modificarsi nella prossima legislatura. Ma un’Unione sempre meno “comune” e sempre più intergovernativa non potrà avere un grande futuro

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