Ci sono due chiesette che, sabato 19 luglio, Sergio Mattarella non avrà occasione di visitare, ma che entrano a pieno titolo nell’itinerario di questo “pellegrinaggio della memoria” che il Presidente della Repubblica si appresta a compiere in Trentino per i 40 anni dalla sciagura di Stava e per i cento anni della Campana dei Caduti di Rovereto. La prima è la chiesetta “della Palanca”, a mezza strada tra Tesero e il luogo dove si trovavano i bacini di Prestavel; la seconda è un santuario che i roveretani conoscono come “Madonna del Monte”. La prima è dedicata alla “Madonna Addolorata”, la seconda alla “Consolatrice degli Afflitti”.
Quaranta anni fa, nella notte illuminata a giorno dalle enormi fotoelettriche dei vigili del fuoco, la chiesa della Palanca – costruita a mezza costa – era ben visibile, perché era uno dei pochi edifici rimasti in piedi. L’enorme valanga di fango che a monte aveva già spazzato via tutto, imboccando la parte più stretta della valle si era invece trasformata in un’onda che si è mossa con ferocia da una parte all’altra, distruggendo e schivando, come un pendolo che uccide o può risparmiare e che nessuno può fermare.
Quel piccolo edificio, dal tetto spiovente dei paesaggi alpini, costruito per essere luogo di sosta e di preghiera, era diventato un santuario del dolore. Sembrava voler accogliere e in qualche modo custodire il silenzio profondo, irreale, di una giornata segnata da una tragedia inimmaginabile. Non era più solo un luogo di fede, ma il cuore ferito di una comunità colpita. Era un luogo sacro al dolore. Non ancora – lo sarebbe diventato con il tempo – luogo consacrato alla rinascita. All’interno della chiesa una lapide in cristallo oggi ricorda i nomi delle persone che quel giorno furono uccise del fango dei bacini di Prestavel. Sono 268, quei nomi. Ci si sofferma sulle provenienze, sui nuclei familiari, sull’età delle persone – tanti i bambini e i giovanissimi – morte quel 19 luglio 1985. Non è un semplice elenco, è una preghiera. La lapide fu benedetta da papa Giovanni Paolo II durante la sua visita a Stava nel 1988, assieme al monumento in bronzo posto all’esterno della chiesa e donato dalla comunità di Longarone colpita dall’onda del Vajont.
Dopo la visita a Tesero, Sergio Mattarella arriverà a Rovereto, per celebrare i cento anni della Campana dei Caduti che ogni sera, con cento rintocchi, non ricorda solo i troppi morti a causa delle guerre, ma è innanzitutto un richiamo ai vivi, al dovere di costruire percorsi di pace. Del resto, il Monte Zugna, con le sue trincee, i suoi camminamenti, i suoi cimiteri, è ancor oggi la testimonianza concreta che ogni guerra è una pazzia. Sul Colle di Miravalle, il Presidente della Repubblica, percorrerà il viale delle bandiere. Sono oltre cento e ciascuna rappresenta l’impegno di chi ha aderito allo spirito della Campana di Rovereto, “Città della pace”. C’è la bandiera degli Stati Uniti e quella dell’Iran, quella di Israele e quella dei “Territori autonomi palestinesi”, quella dell’Ucraina e quella della Federazione Russa, quella del Kosovo e quella della Serbia. La Campana, del resto, era stata realizzata negli Anni Venti del secolo scorso con il bronzo dei cannoni delle Nazioni che avevano dato vita alla carneficina della Prima guerra mondiale. Il messaggio di “Maria Dolens” – ricordava Alberto Robol che della Campana fu “Reggente” per 17 anni – è proprio quello di distruggere le armi da guerra per costruire strumenti di pace. Un richiamo alla profezia di Isaia: “Alla fine dei giorni forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci”.
Salendo da Rovereto verso il Colle di Miravalle, sulla strada che porta al sacrario di Castel Dante (con i resti di 20 mila soldati italiani e austroungarici) si trova la chiesa della “Madonna del Monte”. Sorge in posizione panoramica e suggestiva, meta di pellegrinaggi e preghiera. La tradizione racconta di grazie ricevute e segni di protezione legati alla figura della Madonna. A partire dal diciassettesimo secolo, generazioni di fedeli roveretani sono salite a questo santuario in cerca di conforto e speranza. Dal maggio 1915, con l’entrata in guerra dell’Italia contro l’Impero austroungarico, quella chiesetta vide la linea di confine diventare “prima linea”. Come per la “Palanca” sulla strada per Stava, anche la “Madonna del Monte” divenne testimone di cosa può arrivare a compiere l’uomo quando la follia bellica – che comincia con il linguaggio e si trascina nelle scelte – porta all’irrimediabile.
Proprio davanti al santuario, cento anni dopo, rimane quella piccola fontana dove per mesi – tra il Natale 1915 e il maggio 1916 – centinaia di soldati, dell’una e dell’altra parte, si recavano a prendere l’acqua. Non contava la divisa e nemmeno la lingua: si trovavano a condividere ciò che è essenziale per sopravvivere. Si racconta che talvolta si aiutassero perfino a caricarsi in spalla i pesanti contenitori. Il loro sguardo, allora come oggi, è vero antidoto contro la logica dei signori delle guerre.