L’Italia, l’Europa e i dazi: non servono sceneggiate

La prima pagina del quotidiano “Avvenire” di martedì 15 luglio

È più che comprensibile che a tenere banco nel dibattito politico sia la risposta che la UE deve dare alla sfida sui dazi che le è stata lanciata da Trump. Trattandosi di materia che sulla base dei trattati istitutivi dell’Unione è riservata ai suoi vertici, bisogna capire che le capacità di manovra dell’Italia sono limitate: non inesistenti, perché l’organo chiave alla fine sarà il Consiglio Europeo e lì l’Italia ha dei poteri, dal creare alleanze all’estrema arma del potere di veto (più teorico che reale in questo caso). Inutile dunque lasciarsi andare a sceneggiate su impossibili colpi di testa, essendo realistico accettare la tattica scelta dalla Commissione di negoziare sia pure ventilando contromosse d’attacco (magari con un po’ più di convinzione).

Il nodo della questione sta sul come interpretare l’ennesimo colpo di teatro del tycoon.

È ragionevole credere che sia una manovra inserita nell’obiettivo di tenersi legata quell’opinione pubblica ultra nazionalista e isolazionista che in America ha una lunga tradizione. Nel momento in cui Trump non riesce a portare a casa significativi risultati in politica internazionale (niente pace rapida né in Ucraina, né a Gaza), cerca di compattare i suoi seguaci proponendo loro la grande lotta contro i presunti sfruttatori stranieri dell’economia americana (altro mito che ha radici negli USA).

Se questa interpretazione tiene, ne consegue che l’inquilino della Casa Bianca non punta specificamente ad ottenere una certa percentuale, ma una vittoria di immagine: alla fine della trattativa dei dazi ci saranno comunque e saranno accettati e lui potrà vantarsi di aver incrementato le entrate federali e di avere messo in riga il mondo, alleati e avversari. Dunque l’Europa, magari facendo asse con paesi come il Canada e il Giappone, dovrebbe poter ragionevolmente puntare al ridimensionamento delle tariffe doganali.

Si riflette sul fatto che una grande guerra commerciale avrebbe un impatto fortemente negativo, forse anche devastante sull’economia mondiale, il che non è nell’interesse degli USA. Finché si sparano parole si possono ottenere risultati in termini di immagine, senza rischiare troppe conseguenze. Se si passa alla realtà dei fatti i costi diventano proibitivi.

In questo quadro è irrealistico chiedere al governo italiano chissà quali iniziative, né come politiche ritorsive verso gli USA (non ne abbiamo la forza), né come sfruttamento di presunti rapporti particolari fra Meloni e Trump, perché in politica estera, come insegnano i manuali, più che amicizie e inimicizie valgono gli interessi degli attori in campo.

Sarebbe dunque serio che le forze politiche si impegnassero in una azione di fiancheggiamento, ovviamente critico altrimenti non serve, al governo italiano e a quello europeo.
Proprio nell’ambito dell’Europa allargata (i cosiddetti “volonterosi”) ci sarebbero buone opportunità di azioni responsabili ed efficaci e andrebbe riconosciuto che il governo sulla questione dell’Ucraina ha tenuto la barra ferma. Più complicato muoversi sulla questione israelo-palestinese, perché in questo campo non c’è un comune sentire a livello europeo e non ci sono realistiche capacità di intervento.

Poiché siamo sempre più in modalità di campagna elettorale in vista delle regionali d’autunno che interesseranno 17 milioni di elettori (poi si vedrà quanti andranno alle urne), tutto è argomento solo di polemica fra le coalizioni, ma anche al loro interno. L’ossessione è tenere insieme ammucchiate che non hanno un comune sentire. Vale per il centrosinistra, dove il PD a trazione Schlein e compagni vede solo il tema di tenersi stretta l’alleanza con M5S e AVS accettandone i condizionamenti anche quando sono insensati. Il teatrino delle candidature per le regionali non offre davvero l’immagine di una grande politica. Del resto qualcosa di simile, seppure con toni in qualche modo più felpati, lo si vede anche nel destra-centro, dove un problema di candidature nelle competizioni regionali è caldo non tanto per l’autunno (l’unico problema per questa coalizione è il Veneto), quanto per le prossime scadenze in regioni chiave come la Lombardia o in comuni molto simbolici come Milano.

Per carità, fa tutto parte della vita politica (politicante), ma un’opinione pubblica preoccupata di come sta andando il mondo chiederebbe qualcosa di più e di diverso.

vitaTrentina

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