“Netanyahu, fermati!”, anche l’Italia tra i 28

Benjamin Netanyahu (Photo by Menahem KAHANA / AFP)

Mentre continua ad incombere una situazione internazionale fuori controllo (Israele perde ogni credibilità nella gestione efferata della guerra nella Striscia e Putin non sa fare altro che bombardare selvaggiamente le città ucraine) è abbastanza difficile parlare della nostra politica interna. Tanto per aprire con una nota positiva ricordiamo che l’Italia ha sottoscritto la nota di 28 paesi che intimano a Netanyahu di cessare la sua guerra insensata (la sua risposta che così si manda ad Hamas un indiretto messaggio di sostegno è semplicemente vergognosa). Non servirà a molto, ma è un doveroso atto di civiltà e sarebbe bene che tutte le forze politiche lo riconoscessero smettendo di far polemiche a vanvera.

La nostra situazione si trascina stancamente in rappresentazioni più o meno di rito. A Milano la magistratura inquirente sta imbastendo un’inchiesta che pretenderebbe di essere apocalittica (la prosa dei PM è roba da… catilinarie), mentre non sembra convincere nessuno fuori dei consueti circuiti dei pasdaran giustizialisti. Il destra-centro si è mosso, a parte i soliti esagitati, con una certa cautela, forse fiutando l’aria pesante: lo stesso Salvini ha recitato una parte per i suoi standard più che moderata. Il cosiddetto campo largo è apparso abbastanza disorientato. Il PD dopo qualche incertezza iniziale ha difeso il sindaco Sala e la sua politica, accontentandosi di sacrificare l’assessore alla rigenerazione urbana e di chiedere più attenzione alla salvaguardia delle fasce sociali meno abbienti fra cui, in una megalopoli proiettata nell’espansione economica, sono comprese ormai anche quelle che una volta erano classi medie. Obiettivo sacrosanto, a patto di essere consapevoli che i soldi per la cosiddetta edilizia sociale sono proprio pochini e non si sa come incrementarli, mentre quelli della cosiddetta città dallo sviluppo verticale (i grattacieli) sono sostenuti dall’investimento speculativo privato rinunciare al quale significa avere meno sviluppo per tutti.

Si potrebbe osservare che non la pensa così la sinistra estrema e quella populista (M5S), ma sono esibizioni di maniera, perché alla fine nessuno ha una vera proposta alternativa che sia in grado di reggere le sfide del presente, a cominciare da quelle elettorali.

Del resto a dominare sono queste ultime, con l’imperativo per tutti di cercare di mettere insieme l’ammucchiata vincente: tanto, è su quelle “somme” che si costruisce il “totale” delle possibili vittorie. Vale per entrambi i cosiddetti poli che si confrontano, ma è proprio per questo che al loro interno ogni componente ha un potere di ricatto molto alto. Nel campo largo ne approfitta soprattutto Conte che però non può andare oltre lo sfruttamento di qualche sua riserva indiana e pagando dei prezzi.

Non che nel destra-centro vada meglio. Nonostante in questo caso tutta la vera discussione si riduca alla situazione del Veneto, dove si prospetta una vittoria scontata mentre altrove le aspettative di successo sono più che precarie, da quelle parti si susseguono i vertici ma non si riesce a trovare un accordo sulle candidature. Il venir meno della possibilità di una terza candidatura per Zaia apre la questione della scarsità di figure che possano veramente sostituirlo. Vincere non dovrebbe essere un problema, ma poi governare senza il consenso anche abbastanza atipico dell’attuale presidente è considerato problematico, né si sa bene dove collocarlo in modo che non sia un punto di riferimento (di disturbo) nel post-voto.

Per il resto si tratta di piantare qualche bandierina, ma con il non piccolo problema per tutti i partiti di quell’area di decidere di sacrificare per quel ruolo qualche esponente di prestigio nazionale, il quale, comprensibilmente, non è che sia tanto felice di farlo (per questo sembrano problematiche candidature come Piantedosi in Campania o il presidente della Camera Fontana in Veneto).

Tutto peraltro è complicato dal fatto, cosa che vale anche per il campo largo attorno al PD, che l’assegnazione delle caselle per questa tornata è vista nel quadro dell’allocazione delle future caselle nella prossima tornata di amministrative, ma anche nelle future elezioni nazionali che si dovrebbero avere fra due anni (e già per gli appetiti politici non è che sia un tempo lungo), ma che si pensa potrebbero anche essere anticipate.

Intanto in Parlamento si è chiusa una prima fase sulla riforma del sistema giudiziario, altra bandierina che la maggioranza vuole piantare e che l’opposizione si prepara a combattere prima ancora che con un referendum (per quello ci vogliono ulteriori lunghi passaggi) con una campagna di agitazione pseudo-ideologica.

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