Sui dazi statunitensi serve una contronarrazione europea

Foto Brendan SMIALOWSKI / AFP

Mentre gli scenari geopolitici scuotono il mondo, i dazi USA tormentano l’economia. Con gli attuali aumenti tariffari «il previsto rallentamento della crescita dell’area dell’euro era già evidente nel secondo trimestre di quest’anno», dice la presidente della BCE, Christine Lagarde (Ginevra, 20 agosto). Aumenti che Andrea De Zordo, presidente della Camera di Commercio di Trento, reputa «una tragedia» e rimpiange una mediazione «più tenace e non così arrendevole» (l’Adige, 15 agosto). Per Sergio Fabbrini la «capitolazione europea» si evidenzia anche nell’incapacità dell’UE di «contrastare la narrativa trumpiana» (Il Sole 24 Ore, 3 agosto). Quanta ragione abbia il noto politologo lo attesta la lettera inviata l’11 luglio da Donald Trump a Ursula von der Leyen, non certo un esempio di cortesia istituzionale. Perfino le frasi gentili suonano beffarde: «Egregia signora Presidente, è per me un grande onore inviarLe questa lettera», parole irridenti per l’annuncio di una stangata. Trump afferma «che gli USA hanno accettato di continuare a collaborare con l’UE – come se fosse una loro concessione – nonostante abbiamo uno dei maggiori deficit commerciali con voi», ma i dati del Consiglio europeo dicono altro. Nel 2024 la bilancia commerciale dell’UE con gli USA ha registrato un avanzo di € 198 miliardi nel comparto dei beni e un disavanzo di € 148 miliardi in quello dei servizi, con un saldo attivo, quindi, di soli € 50 miliardi, meno del 3% degli scambi totali UE-USA. Un’inezia, rispetto alla cifra record di questi scambi, € 1.680 miliardi, quasi il 30% del commercio e il 43% del PIL mondiali. «Ciononostante abbiamo deciso di andare avanti, ma solo con un commercio più equilibrato ed equo», come se oggi fosse iniquo: ma Trump ignora che 2,3 milioni di posti di lavoro negli USA sono sostenuti da esportazioni verso l’UE e 3,4 milioni di persone lavorano grazie ad investimenti di imprese europee negli States.

«Dobbiamo abbandonare questi deficit commerciali… generati dalle vostre politiche tariffarie e non tariffarie e dalle vostre barriere commerciali» è quindi un’accusa pretestuosa. Sui saldi USA incidono evidenti fattori non doganali, come l’appeal dei prodotti europei e l’alta propensione alla spesa degli americani, sostenuta da vistose differenze di PIL (USA: $ 85.000 pro capite; UE: $ 43.500) e di debito pubblico (USA: 124% del PIL; Eurozona: 88%). Trump annuncia «una tariffa doganale pari solo al 30%»: l’avverbio “solo” è di per sé provocatorio, tanto più se poi si afferma che «la percentuale del 30% è di gran lunga inferiore a quella necessaria per eliminare il divario di deficit commerciale che abbiamo con l’UE». Un’astrazione, basata sulla stima non dell’effetto di specifiche barriere, ma di un generico freno da imporre alle importazioni affinché non superino le esportazioni: gli economisti l’hanno già stroncata. Sbrigativo è anche l’invito alla delocalizzazione: niente dazi se le aziende europee «decidessero di costruire o produrre negli USA», ignorando gli alti costi e la scarsa manodopera. Poi l’affondo intimidatorio: «Se per qualsiasi motivo deciderete di aumentare i vostri dazi e di reagire, l’importo … verrà aggiunto al 30%».

La conclusione è sale sulla ferita: «questi dazi sono necessari per correggere i molti anni di politiche tariffarie e non tariffarie dell’UE, che causano l’ampio e insostenibile deficit commerciale nei confronti degli USA… Se desiderate aprire i vostri mercati commerciali, finora chiusi, ed eliminare le vostre politiche tariffarie e non tariffarie e le barriere commerciali – comprese le tutele per salute, sicurezza e ambiente? – potremmo valutare una modifica a questa lettera … Non rimarrete mai delusi dagli USA». Delusi lo siamo già. Al di là degli accomodamenti con i successivi accordi, questa narrazione va contrastata con fermezza, per riaffermare la verità dei fatti non meno che la dignità e l’identità morale dell’Europa. Almeno con una lettera.

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