Putin, “presidente di guerra”

Putin e Trump al meeting in Alaska (agosto 2025). Ansa/Sir

Che mire ha ancora oggi Vladimir Vladimorovic Putin? Dopo tre anni e mezzo di guerra contro l’Ucraina il risultato è grosso modo un 20% di conquista territoriale nell’est del Paese. Neppure l’intero Donbass, la regione sotto attacco, è stato completamente acquisito.

I progressi militari sono lentissimi e i soldati russi caduti sul terreno si calcola arrivino a centinaia di migliaia, almeno 700mila. Per di più l’esercito ucraino dopo avere sgominato l’invasione russa nei primi mesi del 2022 sta dimostrando progressi stupefacenti nella costruzione di droni sempre più sofisticati. Tanto da colpire in profondità nel territorio di Mosca la cosa più preziosa per il sostegno della guerra di Mosca: le strutture energetiche, le raffinerie e gli oleodotti, cioè il sangue vitale delle risorse finanziarie russe. E allora per quale ragione il boss del Cremlino punta ad allargare il conflitto a paesi della Nato, come è successo recentemente con l’invasione di droni nei cieli polacchi e romeni?
La prima risposta è che la guerra d’Ucraina di Putin riguardi in realtà quello che lui definisce “l’Occidente collettivo”, cioè la Nato. Ciò porta alla logica conclusione che neppure un eventuale congelamento del fronte di guerra in Ucraina porterà alla pace, ma a nuovi conflitti con i nemici della Nato. In particolare, con gli europei, visti gli atteggiamenti ambigui, quando non complici, di Donald Trump con il partner russo.
Una prova di questa ambiguità si è proprio vista in questi giorni allorquando gli europei hanno nuovamente chiesto a Trump di adottare le famose “sanzioni” contro Mosca, promesse ripetutamente già da tempo ma mai adottate. Anzi, il Tycoon americano ha avuto la sfacciataggine di chiedere agli europei di smetterla di comperare petrolio e gas dalla Russia prima di decidersi a sanzionare lui stesso “l’amico russo”. Paradossalmente sono due i paesi europei che continuano allegramente a fornirsi di gas russo: l’Ungheria e la Slovacchia, i cui leader sono fra quelli più ammirati da Trump. Di fronte a questo evidente sfaldamento dell’Occidente è abbastanza semplice per Putin continuare nella sua campagna di disinformazione addossando alla Nato la colpa del conflitto in Ucraina. Un rovesciamento della realtà che sfiorerebbe il ridicolo se non fosse in parte condivisa da diverse forze politiche dei paesi europei, dalla Le Pen in Francia alla Lega in Italia, che di fatto tendono ad indebolire la capacità di risposta collettiva dei governi europei. Ecco quindi chiarirsi uno degli obiettivi strategici di Putin che è quello di dividere gli europei dagli americani e di mettere in luce la debolezza dell’UE come credibile attore di sicurezza. Con la conseguenza che domani un’eventuale adesione dell’Ucraina alla UE non inciderebbe più di tanto sulle mire espansionistiche e di influenza in Europa di Putin, che non disdegna di usare la guerra per ottenere gli scopi che si prefigge. Va in effetti sottolineato il fatto che la leadership di Putin in Russia si è fin dall’inizio basata sull’uso della forza militare come metodo di governo e strumento per le relazioni internazionali. Putin è quello che alcuni analisti definiscono un “presidente di guerra”. Ha iniziato fin da subito all’inizio degli anni Duemila a soffocare nel sangue le spinte autonomiste in Cecenia, fino a radere al suolo la sua capitale Grozny. Ha continuato nel 2008 con l’annessione armata delle due province del nord della Georgia, Ossezia e Abcasia. Non si è tirato indietro allorquando il dittatore della Siria Bashar al-Assad gli ha chiesto di bombardare Aleppo. Ha avviato la prima guerra di Ucraina nel 2014 annettendosi con un referendum farlocco la Crimea. Per poi “scongelare” il conflitto e riprendere su larga scala la guerra con Kyiv nel 2022.
Il suo potere in patria si regge quindi sulle sue promesse di conquiste territoriali e sul ritorno ad una Russia temuta potenza militare internazionale. Gioca quindi sul nazionalismo assai diffuso della propria opinione pubblica. In tutti questi anni è inoltre riuscito ad eliminare con la violenza (vedi Navalny) quel poco di opposizione democratica che ancora sopravviveva in Russia dopo la fine del comunismo di Stato. È quindi oggi sostenuto dalle forze più conservatrici e di destra del paese, ben rappresentate dalle uscite minacciose del suo scherano ed ex-leader Dmitri Medvedev, che ha l’ardire di parlare addirittura dell’uso delle armi nucleari tattiche contro Ucraina ed Europa. Pensare quindi che un presidente di guerra possa trasformarsi in uno di pace è piuttosto illusorio. D’altronde gli europei comprendono che, malgrado le continue provocazioni di Mosca, il conflitto non è più sostenibile.
L’unico punto debole per Putin è rappresentato dalla situazione economica interna. Fino all’anno scorso, malgrado le sanzioni dell’Occidente, la Russia ha continuato sorprendentemente a crescere. Merito di una massiccia riconversione ad economia di guerra e di investimenti pubblici che sfiorano il 40% a favore dell’industria militare e della sicurezza. Sul fronte delle entrate si sono sostituiti agli europei i cinesi e il governo indiano. Ma quest’anno hanno cominciato a manifestarsi segnali di inflazione e di rallentamento dell’economia che sta imboccando la strada di una drammatica recessione.
è questa la sola ragione per cui le minacciate sanzioni di Trump potrebbero fare la differenza ed indebolire la leadership interna di Putin. Ma “l’amico americano” potrà mai abbandonare al suo destino il complice Putin? È questo il grande dubbio che attanaglia la nostra debole Unione.

vitaTrentina

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