“Una telefonata allunga la vita”. Era il 1994 e quello spot televisivo con Massimo Lopez ce lo ricordiamo tutti. Era una pubblicità della Sip, la Società italiana per l’esercizio delle telecomunicazioni che per un trentennio era stata l’unico gestore della telefonia in Italia. Nel 1964 aveva unificato in un’unica società (dell’Iri) le diverse compagnie regionali e Sip era diventato sinonimo di azienda telefonica. “Meno male che c’è il telefono”, diceva Massimo Lopez che grazie a quelle divertenti chiacchierate attraverso la cornetta esercitava al meglio l’opportunità offertagli come ultimo desiderio a plotone d’esecuzione già schierato. Qualche mese dopo, Sip divenne Telecom Italia e si aprì in Italia la fase della liberalizzazione della telefonia con la moltiplicazione delle sigle, delle proposte, delle tariffe.
Oggi, per la comunicazione quotidiana, mutuando lo slogan della Sip, verrebbe da dire: “Meno male che c’è WhatsApp”. La voce non corre più attraverso il filo della cornetta, ma si muove nella rete. Le telefonate via WhatsApp sono gratuite, non conoscono confini, non ci sono limiti di tempo; si può telefonare e si possono fare anche le video chiamate; si può parlare, ma si possono anche scrivere dei testi; si possono registrare dei messaggi vocali e inviarli come messaggi; si possono trasferire foto e video; si possono addirittura creare delle comunicazioni collettive, le chat, che sono diventate uno strumento di uso quotidiano per ciascuno di noi (anche se cresce il numero di chi – nel proprio stato di WhatsApp – precisa: “non leggo chat”, quasi a voler mettere le mani avanti, anche a costo di apparire stravagante e restio ad ogni forma di socializzazione).
Le chat sono diventate uno strumento straordinario di comunicazione perché – dicono quelli che ne evidenziano l’utilità – “permettono di comunicare in modo immediato e continuo, superando le barriere di distanza e tempo; offrono spazi semplici e accessibili dove condividere pensieri, emozioni e interessi; favoriscono la nascita e il mantenimento di relazioni, anche tra persone che non si conoscono di persona; consentono di creare comunità virtuali basate su interessi comuni; facilitano il confronto tra persone che appartengono alla stessa comunità (le chat dei genitori di una classe; le chat di un condominio; le chat degli appartenenti ad una associazione o le chat con i parenti più lontani). Inoltre, rendono più facile esprimersi anche per chi è timido o ha difficoltà nei rapporti faccia a faccia”.
Questo, però, è solo un lato della medaglia. L’altra faccia è rappresentata dalle conseguenze che uno strumento semplice può portare in condizioni complesse come sempre più spesso è anche la vita quotidiana di ciascuno di noi. Le chat, nate per unire e semplificare la comunicazione, possono, infatti, trasformarsi in veri e propri campi di battaglia. Se da un lato rappresentano un mezzo rapido, comodo e immediato per restare in contatto, dall’altro spesso diventano la scintilla di discussioni, incomprensioni e persino rotture definitive di amicizie.
Il motivo principale è la mancanza di tono e linguaggio non verbale: in un messaggio scritto mancano sguardi, gesti, inflessioni della voce, elementi fondamentali per interpretare correttamente un discorso. Così, una frase ironica può sembrare offensiva, una risposta breve può apparire fredda, un silenzio può essere letto come disinteresse. La velocità della comunicazione contribuisce ad alimentare il problema. Nelle chat si scrive di getto, spesso senza riflettere troppo sulle parole, e il rischio di fraintendimenti aumenta. In più, l’immediatezza spinge molti a reagire d’istinto, rispondendo con rabbia o impulsività a un commento poco gradito.
A tutto questo si aggiunge il fenomeno delle “chat di gruppo”, dove dinamiche di alleanze, esclusioni e massaggi mal interpretati possono esasperare i conflitti e creare veri e propri fronti contrapposti. Non va sottovalutato neppure il ruolo dell’iperconnessione. Essere sempre reperibili genera aspettative: se non si risponde subito, si rischia di deludere o far arrabbiare l’interlocutore. Inoltre, molte persone usano le chat come valvola di sfogo per frustrazioni personali, riversando nei messaggi emozioni che in altri contesti verrebbero gestite diversamente.
Il risultato è che uno strumento nato per avvicinare può finire per allontanare. Dietro un semplice messaggio possono nascondersi tensioni profonde, e relazioni anche solide rischiano di incrinarsi per un’emoji di troppo o per un messaggio inviato nel momento sbagliato. Se una telefonata allungava la vita, attenzione alle chat: possono diventare uno strumento dove tutto si complica e dove una parola sbagliata può far deragliare non solo la conversazione, ma rompere anche un’amicizia.