Un voto lungo cent’anni…

Da un secolo ogni anno si stringono in preghiera affidandosi alla Madonna affinché preservi sempre il paese e tutti i suoi abitanti. Alla divina misericordia, le quattro parrocchie di Cavedine sono ricorse nei diversi bisogni dei tempi per essere state risparmiate dal grave e incombente pericolo dell’evacuazione minacciata nel 1915 toccata in sorte, sciaguratamente, alla comunità limitrofa di Drena esiliata in Boemia e Moravia.

Niente a che vedere con l’ennesima rievocazione di una tradizione, malgrado centennale; tantomeno un atto dovuto ciò per cui domenica 30 agosto una folta cittadinanza, clero e autorità civili, al termine della solenne liturgia concelebrata dai fratelli don Luigi e don Silvio Benedetti nella parrocchiale di Cavedine, animati da canti e spirito di devozione alla Vergine Addolorata a scandire il lento incedere della processione, hanno raggiunto il complesso monumentale del “santuario della grotta votiva” dedicato alla Nostra Signora di Lourdes.

Una cavità rocciosa naturale dal profilo rassomigliante al Massabielle delle apparizioni celesti che tutt’uno con le quattordici stazioni della Via Crucis erette a impreziosire l’irto percorso gradinato da Piazza del Municipio evoca una Lourdes in miniatura, inaugurata sul monte Salin con solenne funzione il 23 agosto 1925, a dieci anni dalla formulazione del voto mariano. Fu quell’opera, completata dalla fabbrica del santuario in onore di Maria e delle Sante Anime del Purgatorio, l’adempimento della solenne promessa. Don Ermenegildo Tonelli, arciprete per 27 anni “che mosso da ardente amore alla Madonna ideò e realizzò questo sacro luogo” – è l’inciso nell’epigrafe laterale alla statua marmorea di Santa Bernadette – ardì e ottenne dalla Curia vescovile la cadenza annuale della processione votiva.

Così poté avvenire nei decenni fino ai nostri giorni. E nel 2015, esattamente a cent’anni dalla deportazione da tutto il circondario di Riva del Garda quando, assalite da immenso timore, le autorità ecclesiali e comunali cavedinesi allora capeggiate da don Antonio Spada e dal “capo comune” Giacomo Bortolotti convocarono una seduta d’urgenza in municipio per abbandonarsi fiduciosi alla divina Provvidenza.

“Veglia su di noi. Tieni lontani i pericoli materiali e morali che potrebbero compromettere la tranquillità e la pace delle nostre famiglie”, ha recitato don Silvio ai piedi della Grotta nel benedire quel luogo “frutto di sacrifici e di un paziente lavoro di parroci e fedeli”. Aggiungendo: “È l’omaggio gioioso che ti hanno reso, Maria, quanti ci hanno preceduto e una testimonianza di amore della gente che fu, che è e che sarà”.

Dinanzi al santuario, oggetto di tanta pietà e meta di frequenti pellegrinaggi, sorto in “segno di profonda e sincera gratitudine” per la materna protezione ottenuta dalle genti della valle, il pensiero della sindaca Ceschini è andato ai migranti nel Mediterraneo. Persone mosse dalla speranza, come quelle a cui si devono negli anni Venti e Trenta le innumerevoli donazioni a testimonianza della fede alla Grotta: la campana donata da emigrati canadesi; il gruppo scultoreo dell’altare proveniente dalla Val Gardena; le offerte degli emigrati in Belgio per il Crocifisso, di Pietro Bridarolli e sua consorte dall’Argentina per l’Addolorata, di Giorgio Galetti dall’America per il pannello delle Anime del Purgatorio.

Tutta la popolazione si sentì coinvolta, incitata da don Ermenegildo ad apportare in manodopera o in offerte affinché ciascuno sentisse il santuario, in quel luogo “sterile e improduttivo”, come qualcosa di suo: la prima tappa di un patto di fede andato fortificandosi. Nonostante i pericoli bellici a Cavedine siano oggi soltanto un ricordo.

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