Maso Visintainer. L’angolo cieco della memoria collettiva

Pensiamo di sapere tutto, di avere tutto a disposizione, ma c’è una cosa che l’intelligenza artificiale (IA) non riesce proprio a garantirci: la memoria storica di quanto è successo prima dei primi anni Duemila e che, per vari motivi, non è stato mai messo in rete. L’intelligenza artificiale, infatti, elabora un’infinità di informazioni. Ma solo, ovviamente, quelle presenti nel web. Se una notizia non è mai stata digitalizzata, se gli avvenimenti che ci interessano si riferiscono ad un’epoca (nemmeno tanto lontana) quando ancora i giornali online non c’erano e men che meno c’erano i social, quella notizia semplicemente rischia di non esistere. Perché la memoria dell’IA è formidabile, ma solo sulle cose che qualcuno gli ha già raccontato o che riesce a trovare negli archivi digitali.

È il caso della tragedia di Maso Visintainer: nella notte tra il 17 e il 18 marzo 1993, cinque giovani kosovari morirono a seguito di un incendio che distrusse la vecchia casa che, ai margini della città di Trento, tra la tangenziale e l’autostrada, ospitava una ventina di famiglie, un centinaio di persone: soprattutto, donne e bambini. Chi arrivò sul posto, quella mattina, poco dopo le cinque, non può certo dimenticare: il fumo e l’odore dell’incendio, i lampeggianti dei mezzi di soccorso, il viavai dei vigili del fuoco e delle forze dell’ordine, lo sguardo – smarrito e spaventato – dei bambini.

Rimane, dopo 32 anni, il ricordo di una struttura fatiscente, sporca, inadatta ad ospitare non solo le persone, ma persino gli animali che peraltro erano sistemati in una stalla attigua. Per la comunità kosovara – “slavi” si scrisse allora, nomadi e senza il riconoscimento di rifugiati – quello era parso l’unico approdo possibile, ai margini della città, che si poteva comunque raggiungere facilmente superando il fiume al ponte di San Lorenzo. Ricordo lo sgomento quando, sul notes degli appunti, scrivemmo i nomi delle vittime e la loro età: un uomo di 42 anni e due dei suoi figli, di 16 e 17 anni; e poi due fratelli di 19 e 17 anni. Altri due giovani si erano salvati, ma erano ricoverati in gravi condizioni all’ospedale Santa Chiara. Anche loro non avevano ancora vent’anni.

Quella di Maso Visintainer non era una situazione sconosciuta alle istituzioni e alla comunità: la Caritas, l’Atas e alcune parrocchie della città si erano mobilitate e avevano provato a dare delle risposte. La politica – anche allora – era stretta tra i vincoli di una normativa che non riusciva a declinare le tante situazioni di chi cominciava ad arrivare in Italia (profughi, rifugiati politici, richiedenti asilo, migranti economici, nomadi) e le proteste di chi era contrario a qualsiasi intervento di solidarietà e accoglienza. Nulla di nuovo, verrebbe da dire. E tutto finito nel dimenticatoio di una memoria umana sempre più labile e di una memoria artificiale che non può ricordare ciò che non conosce.

Nei giorni scorsi, quando la Provincia ha ufficializzato la decisione di realizzare proprio in quell’area il Cpr (strutture di detenzione amministrativa per cittadini stranieri che non hanno un permesso di soggiorno valido o sono destinatari di un provvedimento di espulsione) avevo provato a cercare in Internet qualche informazione che potesse consolidare i ricordi personali. Ho provato con diversi motori di ricerca, senza alcun esito. Avevo provato ad interpellare Gemini e ChatGpt (i sistemi di intelligenza artificiale generativa che normalmente sanno e tutto ti spiegano), ma anche in questo caso la mia richiesta non aveva avuto risposta. Di quella tragedia, sul web, non c’era traccia. Mai esistita. Una sorta di cecità algoritmica del passato.

Viviamo in un’epoca in cui sempre più la memoria collettiva passa attraverso i bit. Se un fatto del passato non è stato digitalizzato — se non compare nei motori di ricerca, nei database o nei documenti online — per l’intelligenza artificiale semplicemente non esiste. È il cosiddetto “storicidio digitale”: un lento ma inesorabile processo di cancellazione del passato non digitalizzato. Tutto ciò che resta confinato nella carta, nella  orale o negli archivi rischia di sparire dall’orizzonte delle macchine, e con il tempo, anche da quello delle persone.

Così, il sapere dell’AI — e quindi quello che molti considerano “il sapere universale” — finisce per rappresentare solo la parte del mondo che è stata tradotta in dati. Il resto svanisce nel silenzio analogico. Ma se la memoria dell’intelligenza artificiale non è capace di conoscere ciò che è successo trent’anni fa, alla classe politica si chiede di avere quel minimo di memoria storica per quanto riguarda la storia della propria comunità. Il Trentino, quella mattina del 18 marzo di trentadue anni fa, si svegliò scioccato e prevalse la logica dell’accoglienza. Oggi, in nome della sicurezza, sembra prevalere solo il bisogno (propagandistico) di repressione. Almeno, non fatelo – per decenza – a Maso Visintainer.

vitaTrentina

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