“La tristezza di non poter rientrare”

La monaca trentina è stata ospitata nel campo di Ozal, dove si trovano 800 famiglie cristiane e 500 musulmane, ed ha poi visitato altri sei campi

“Hanno paura che ci dimentichiamo di loro, data l'enorme quantità di conflitti che ci sono nel mondo; mi domando inoltre a chi interessa veramente la liberazione di queste persone”. Suor Gemma Zanella, della comunità del Pian del Levro, è appena rientrata dalla sua seconda visita (13-20 aprile) ad alcuni dei ventidue campi profughi nel territorio curdo dell'Iraq, che accolgono cristiani, musulmani shiiti e yazidi scappati, in gran parte, il 6 agosto 2014 dalla minaccia dei terroristi dell'Isis.

La monaca trentina è stata ospitata nel campo di Ozal, dove si trovano 800 famiglie cristiane e 500 musulmane, ed ha poi visitato altri sei campi, tra cui i più grandi Ashty Uno ed Ashty Due, dove vivono complessivamente novemila persone in maggioranza cristiane, tutti ad Ankawa, quartiere periferico di Erbil. Ha inoltre svolto un sopralluogo in campi vicino a Duoeq, a nord di Mossul. Rispetto alla visita compiuta nel marzo 2015, suor Gemma ha colto negli sguardi e nelle parole dei rifugiati una sorta di rassegnazione. “L'anno scorso mi sembrava ci fosse maggior speranza in un rientro, ed ora non si sentono neppure più sicuri dopo l'autobomba fatta esplodere lo scorso settembre ad Ankawa dai terroristi islamici”, ci racconta suor Gemma.

I campi sono maggiormente strutturati, ora i profughi vivono in container, anche se stretti. Gli aiuti umanitari internazionali non mancano, mentre loro cercano di reagire, organizzandosi in modo da creare reti di convivenza, pure tra gruppi diversi, oltre ad aver avviato piccole attività commerciali, come negozietti e servizi di parrucchiere. “Sebbene la vita sembrasse un po' più normale, avevo l'impressione di una resilienza coatta, si vedono costretti a rimanere lì”.

Si aggiungono inoltre forti interessi sovranazionali. V'è anzitutto uno scontro – spiega suor Gemma – tra i curdi che fanno la guerra non certo per liberare le minoranze perseguitate ma per crearsi uno stato indipendente e il governo instabile di Baghdad che teme ciò. “Perché i vari schieramenti, come mi diceva un profugo shiita, arrivano sempre alle porte di Mosul, ma non vi entrano mai? Perché la caduta della città fa comodo ai curdi ma non certo a Baghdad”. “Senza contare – aggiunge – che numerosi rifugiati vivono in casette a schiera abbandonate in cemento, il cui affitto pagato dalla Chiesa locale alimenta l'economia curda”.

Il contatto tra le monache trentine e i profughi è avvenuto per vie traverse tramite conoscenze. La comunità del Pian del Levro si è fatta inizialmente coinvolgere nella raccolta di fondi, ma poi è subentrata l'esigenza di visitare i posti ed hanno incaricato suor Gemma. “I 7 mila euro che abbiamo raccolto nel 2015 sono stati per noi una grande sorpresa, offerti in maggioranza da persone qui del posto, che magari faticano ad arrivare a fine mese”, aggiunge la monaca con gratitudine.

È di pochi giorni fa la richiesta tramite email, da uno dei responsabili dei campi profughi in Iraq, di materiale scolastico. La comunità sta ora pensando con quali modalità farvi fronte; intanto sono sempre gradite offerte in denaro.

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