È rimasto nella memoria di tante persone che quel giorno hanno avuto un brusco risveglio a Riva del Garda. Erano le 6.24 del mattino del tredici dicembre 1976 quando la terra ha tremato. Un forte boato e una scossa di magnitudo 4.4 della scala Richter. Chiamato poi il “terremoto di Santa Lucia”, l’evento non provocò vittime ma i danni furono ingenti – scuole, chiese, abitazioni ed edifici pubblici inagibili, oltre a centinaia di sfollati. Il sisma colpì oltre a Riva, tutto l’Alto Garda e la valle di Ledro.
A distanza di quasi 50 anni, uno studio dell’Università di Trento ha raccolto dati, li ha analizzati e rielaborati per mettere a punto un nuovo modello digitale per la valutazione del rischio sismico in quella precisa zona. Obiettivi principali, garantire la protezione della cittadinanza e pianificare la gestione del territorio in modo sostenibile.
Le mappe locali di rischio sismico. L’attività di ricerca, finanziata dalla Provincia autonoma di Trento attraverso il Dipartimento protezione civile, foreste e fauna, è partita da una mappatura preliminare del territorio per analizzare i tre elementi che definiscono il rischio sismico: pericolosità, esposizione e vulnerabilità. Indagare la pericolosità del territorio significa conoscere la caratterizzazione del terreno e della risposta sismica dal punto di vista geologico.
Ma questa da sola non basta a causare il rischio. Ecco che entrano in gioco gli altri due fattori. L’esposizione tiene in considerazione la presenza di persone, di opere strategiche, di ospedali o plessi scolastici. La vulnerabilità riguarda infine il conoscere effettivamente il patrimonio edilizio, come si è costruito in quella determinata area e come prevenire problemi.
I risultati su Riva del Garda. La sismicità nella zona dell’Alto Garda risulta medio diffusa. La zona da attenzionare e maggiormente esposta al rischio di risonanza resta il centro storico della cittadina rivana e poco oltre a nord del monte Brione. In quest’area l’attenzione si è concentrata in particolare su uno studio dedicato al Municipio: l’edificio è stato infatti identificato come opera strategica e analizzato come caso pilota, con livello di dettaglio tale da costituire un modello di riferimento per future valutazioni su altre opere strategiche del territorio.
Sempre secondo questo lavoro, sarebbe opportuna una riorganizzazione dei piani di emergenza, rivedere le vie di fuga e lasciarle libere in modo da garantire in ogni momento le operazioni di soccorso e i collegamenti, per esempio verso l’ospedale.