“Se l’UE proseguirà nell’attuale tragitto, in 20 anni o meno sarà scomparsa”. Non è un novello Frate Indovino a prevederlo, ma addirittura l’uomo più potente (almeno per ora) del mondo: il Presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump. Nella sua “strategia di sicurezza nazionale”, il documento che indirizza la politica estera e di difesa di ogni presidente, tutte le iperboli, le megalomanie, le minacce e le parole violente che avevamo ascoltato con crescente stupore in questo primo anno di “regno” del Tycoon di Washington sono ripetute senza alcun ritegno. Il vero guaio è che ora esse sono scritte nero su bianco in un documento ufficiale dell’amministrazione americana.
L’accoglienza è stata di shock per i leader e le istituzioni europee, di complice soddisfazione da parte di Vladimir Putin, di preoccupazione nei paesi dell’America Latina messi sotto tutela da Washington e di silenzio della dirigenza cinese. Il Politico.eu lo ha definito un documento estremamente poco serio in tempi drammaticamente seri.
La prima considerazione che è possibile trarre dalla sua lettura è che la nuova strategia trumpiana mette la parola fine al cosiddetto “mondo occidentale” e all’alleanza transatlantica che lo rappresentava. È inutile illudersi che fra tre anni, magari con un nuovo presidente democratico, i rapporti fra Stati Uniti ed Europa potranno ritornare ai tempi passati. È infatti ormai da un paio di decenni che l’Atlantico, come si usa dire, diventa sempre più largo. Già con Clinton e poi con Obama e Biden gli interessi strategici degli Usa si stavano sempre più chiaramente orientando verso il Pacifico e la Cina. Solo l’attacco proditorio da parte della Russia contro l’Ucraina aveva ancorato l’America di Biden ai destini degli alleati europei, ancora una volta alla ricerca della copertura militare ed economica di Washington a causa delle loro incapacità a reagire da soli contro una Russia, che seppure geograficamente grandissima ha un’economia interna che non supera quella dell’intero Texas ed è in termini di Pil anche inferiore a quello italiano. Ma ha un numero enorme di testate nucleari e, soprattutto, un presidente che rafforza il proprio potere dittatoriale con ripetute guerre in Europa e altrove.
L’UE come ben sappiamo si è trovata disarmata e incapace di offrire quei sistemi di difesa tecnologica, a cominciare dai Patriot, che in qualche modo hanno permesso agli ucraini di resistere all’offensiva russa per quasi quattro anni.
Ora con Trump siamo di fronte ad un nuovo paradigma. Dopo l’attacco sui dazi e l’acquiescenza europea il Tycoon ha deciso di attaccare anche politicamente l’Unione, accusandola di non sapere gestire l’immigrazione e di aprire quindi le porte a quella che viene chiamata “sostituzione etnica”, da parte di masse di origine musulmana. Nel documento si arriva addirittura a prevedere che nel giro di qualche anno alcuni paesi membri della Nato (e dell’UE) potrebbero non aver più una maggioranza “bianca”. Anche a causa della caduta delle percentuali di nascita.
La colpa di questo drammatico quadro di fine della civilizzazione europea sta essenzialmente nell’esistenza dell’Unione europea e delle sue istituzioni burocratiche. Ma, siamone certi, sarà l’amministrazione Trump a porvi rimedio. Come? Ma è lapalissiano: rafforzando le forze nazionalistiche, di destra estrema ed euroscettiche, uniche a dare il giusto peso alla sovranità nazionale e alla difesa dei suoi confini.
Noi europei che temevamo la nefasta influenza russa sulle nostre elezioni nazionali ci troviamo oggi a dovere affrontare anche questo sconvolgente “aiuto” americano. Che ciò poi venga sostenuto da un presidente che solo cinque anni fa aveva favorito l’assalto dei suoi sostenitori a Capitol Hill, il cuore della democrazia americana, lascia ben poco spazio alla speranza di esserci clamorosamente sbagliati.
Purtroppo, la reazione europea è stata ancora una volta estremamente prudente. Toccati direttamente dalle stoccate trumpiane Macron, Starmer e Merz si sono riuniti per decidere che cosa fare. Il primo è sotto attacco in Francia del Fronte nazionale della Le Pen, il secondo in Inghilterra deve affrontare l’emergere dell’ultradestra di Nigel Farage (il padre della Brexit), il terzo sente sul proprio collo il fiato di AfD la formazione neonazista che domina nell’est della Germania. Bruxelles tace, ancora sotto il ricatto di eventuali ulteriori dazi. A gioire rimane Vladimir Putin verso il quale il generoso Trump prospetta addirittura la ripresa di un rapporto bilaterale di “stabilità strategica”. A spese, naturalmente del povero Volodymir Zelensky, che dovrà accontentarsi di un “survival as a viable state” (cioè, della sopravvivenza come stato quasi-sostenibile).
Quando riusciremo a elaborare una concreta risposta europea a questa vitale sfida? Se non ora, quando? C’è davvero da chiedersi se il famoso detto di Jean Monnet, “l’Europa si costruirà in risposta alle crisi”, abbia ancora la stessa sperimentata validità del passato.