Ricordi di Carnevale: per i Solandri era così…

Una sfilata di Carnevale in Val di Sole. Foto Archivio Stefano Andreis – Malé

Più che un periodo (più o meno lungo) di transizione dal Natale alla Quaresima, il Carnevale per i Solandri era condensato in una specie di breve triduo, laico e festaiolo, che si apriva col Giovedì grasso, si sviluppava nella successiva Domenica e si concludeva col Martedì di carnevale, ultimo giorno della “baldoria” sociale, prima della “penitenza” quaresimale.

Ognuno di questi tre giorni si connotava con attività e festeggiamenti specifici: il Giovedì si mettevano in campo le “sfilate” delle maschere, dei carri, dei trabiccoli, della musica, di tutto ciò che favoriva la manifestazione sociale della gioia e del divertimento, avendo particolare riguardo ai bambini, ai ragazzi e ai giovani, che approfittavano della breve “licenza pubblica” per mettere in mostra maschere, costumi, abbigliamenti desueti e fantasiosi, per raccogliere applausi, dolciumi, complimenti e pure per mettere a segno… qualche scherzo! Non mancavano per i giovani neppure le occasioni di un ballo in compagnia, in qualche locale disponibile a far tardi.

La domenica costituiva l‘occasione propizia, per una bella “pastasciutta” in piazza (la “sbigolada”), accompagnata con i “grostoi”, gli affettati locali e (per gli adulti) un buon bicchiere di vino. L’occasione avvicinava ed univa residenti, turisti e gente di passaggio, creando un amalgama di dialetti, di storie, di reciproche canzonature e punzecchiature, di allusioni pepate e briose, in attesa del carro bardato a festa, che di solito arrivava dal paese vicino.

Il Martedì grasso vedeva infine convergere ed unirsi le varie attività, che avevano animato i giorni precedenti, ripetendo e massimizzando la voglia di trasgressione e di spensieratezza, ma confluendo poi, quando il buio diventava più fitto, in una unica attesa finale: il grande falò acceso in alto, ben visibile a tutti, quale ultimo brindisi al carnevale e primo anticipo della Quaresima incipiente. Un falò da accendere il più tardi possibile, magari ultimo in valle (e che battaglie per incendiare quello dei vicini!), uno sfavillio fantasmagorico, accompagnato da suoni e canti e ritmato dalla cantilena: “Eviva la Quaresima, che ‘l carneval l’è nà”: un addio corale alla spensieratezza e insieme una accettazione realistica degli impegni della vita.

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