La spiritualità di Wojtyla in Adamello e sul Baldo

Un capitello sotto la neve delle scorse giornate

Lo spunto:

Caro de Battaglia, ho letto con molto interesse quanto pubblicato nella rubrica “Sentieri”, riguardante l’idea di posare sulle creste baldensi un “monumento” in omaggio al grande papa Giovanni Paolo II. Sono nato da quelle parti e non nascondo che ogni sfregio, ogni ferita, ogni offesa inferta a quella montagna mi procura dispiacere. Ebbi modo di essere vicino al Papa il 17 aprile 1988 in occasione della visita pastorale al Santuario Madonna della Corona che sorge proprio fra le rocce del Monte Baldo. Arrivò in ritardo, ma ciò non gli impedì di fermarsi davanti al Santuario, posare le mani sulla ringhiera del piccolo terrazzo e guardare giù verso la Valle dell‘Adige. Un refolo di vento primaverile scosse leggermente le sue vesti. Sembrava che il Papa dialogasse con il vento, con l‘infinito.
Ricordo il Pontefice anche fra i boschi delle Dolomiti, a Lorenzago, con in una mano l‘Alpenstock e nell‘altra il breviario, seduto su un tronco intento ad ascoltare quello che gli diceva il vento. Ascoltare il vento! Quel freddo vento del mattino che annuncia una giornata di sole, le improvvise e violente folate che precedono il fragore del tuono e la pioggia ristoratrice e feconda. Sono convinto che se potesse intervenire, San Giovanni Paolo II direbbe “lasciate la montagna così com’è”. Onorare la montagna è anche prendere quello che essa generosamente ci dona: la raccolta delle erbe selvatiche, il frutto della caccia faticosa e saggia e perché no, un fiore da donare alla persona amata.
Lino Furlani – Trento

Il confronto di idee, ed anche polemiche sulla cosiddetta “croce astile” (in realtà una sorta di totem, alto 18 metri) che si vorrebbe istallare sul Monte Baldo, porta a dover riscoprire la vera spiritualità della montagna, che è parte importante di tutta la cultura alpina: i capitelli, le chiesette, i silenzi, piuttosto dei clamori, dei rosari politicamente usati, i segni ostentati, i super-ristoranti stellati… Non è questa la dimensione della montagna, la cui spiritualità abbraccia tutto il creato, oltre le stesse chiese, tanto che i templi greci, con le loro colonne, si sono ispirati agli alberi dei boschi. Come guida alla spiritualità alpina c’è un libretto che meriterebbe rileggere in queste giornate. È sulle chiesette di montagna e l’ha scritto don Giuseppe Grosselli, ma c’è anche lo “spunto” di Lino Furlani nel ricordo di Giovanni Paolo II, proprio sul Baldo, da meditare. Papa Wojtyla, infatti, capiva e amava la montagna in tutti i suoi momenti: quando ne percorreva con gli sci le nevi assieme al presidente Sandro Pertini, come quando si fermava ad ascoltare il vento nelle sue passeggiate, o saliva alla Madonna della Corona, o ritornava ai Caduti dell’Adamello, davanti ad una neve che non era più candidamente innocente, ma racchiudeva le vite di tanti giovani caduti in guerra. Non cercava il clamore Wojtyla, le apparenze, ma quel filo di vento che anche i profeti attendevano, che appena agita le foglie, muove il cuore e illumina la mente perché prospetta un’armonia totale fra cose create e sensazioni vissute.

Lo rammenta Lino Furlani nella sua lettera, significativa per due ragioni, posto che Furlani, professionista ben conosciuto nei settori della sanità e della cultura ambientale, vive da lunghi anni a Trento, ma è nato a Ferrara Monte Baldo di cui è stato anche consigliere comunale.

La prima ragione è che la lettera rivendica l’unitarietà del Baldo oltre le competenze amministrative, cerniera (come sono le montagne) non confine fra le genti gardesane e quelle atesine. Del resto la località suggestiva di Punta San Vigilio, dedicata al patrono di Trento, si trova in territorio veronese, tanto che uno dei primi atti dell’arcivescovo Bressan, all’aprirsi del millennio, fu proprio di incontrarsi lì con i suoi confratelli di Verona e Brescia, a sottolineare una comune visione pastorale dentro una storia e una natura condivisa.

La seconda ragione è che la visita di Giovanni Paolo II alla “Corona”, l’eremo nella roccia che si affaccia sulla Valle dell’Adige, con i momenti di silenzio e solitudine ricercati. Si ricollega alla visita compiuta, nel luglio dello stesso anno 1988 sull’Adamello per ricordare, con l’immane tragedia di Stava gli Alpini e i Kaiserjäger caduti.

Era la giornata del Carmelo e all’omelia Wojtyla iniziò le sue parole, nell’aria sottile dei Duemila, con l’indimenticabile “incipit” del passo evangelico: “Maria prese la strada della montagna…”. La strada della montagna. Per andare da Elisabetta che attendeva un bambino… Il Papa parlava e guardava lontano, e si levò dalle Lobbie un soffio di vento che non disperse quelle parole, ma come le avvolse e le portò con sé fra le nubi, perché ricadessero poi sulla terra, fra gli uomini. Indimenticabile. Questa, a chi ascoltava, parve la spiritualità della montagna che Wojtyla insegnava.

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