Il travaglio della comunità di Bose

Enzo Bianchi a Trento nel 2015 per l’Assemblea Diocesana. Foto © Gianni Zotta

Accompagnato nella preghiera da tanti fedeli che negli anni hanno goduto della proposta spirituale di Bose, il travaglio della Comunità ecumenica fa registrare due novità.

Giovedì 4 marzo il Papa ha ricevuto il delegato pontificio, padre Amedeo Cencini, e il priore di Bose, Luciano Manicardi. confermando il suo apprezzamento per la comunità, per l’azione portata avanti dal delegato pontificio e richiamando la decisione “non appellabile” del decreto del 21 maggio scorso. Esso impone al fondatore di Bose, l’ex priore Enzo Bianchi, di allontanarsi dalla comunità “e trasferirsi in altro luogo, decadendo da tutti gli incarichi attualmente detenuti”. Stessa imposizione per altri due fratelli di Bose e una sorella. In gennaio sembrava si fosse trovato l’accordo per il trasferimento dell’ex priore a Cellole San Gimignano, in una comunità che Bose avrebbe ceduto in comodato a Bianchi.

Sabato 6 marzo Enzo Bianchi ha rotto il silenzio pubblicando nel blog personale la propria ricostruzione della vicenda, spiegando perché finora non ha potuto obbedire alle disposizioni della Santa Sede. Ritiene “calunnie” quelle espresse nel decreto di maggio e afferma “di non aver avuto la possibilità di difendersi” ma di aver “immediatamente iniziato la ricerca di un’abitazione adatta a me e alla persona che mi assiste, dove poter anche trasferire la vasta biblioteca necessaria al mio lavoro e l’ampio archivio personale”. Una ricerca secondo Bianchi senza esito positivo a causa delle varie patologie di cui soffre.

Il complesso della pieve di Cellole

E perché non a Cellole? Perché, argomenta l’ex priore, “l’economo della comunità e il delegato pontificio hanno da subito posto alcune condizioni, tra le quali la perdita di tutti i diritti monastici per i fratelli e le sorelle che si sarebbero trasferiti a Cellole”. Una situazione a cui avrebbe posto rimedio lo stesso cardinale Parolin, accogliendo le osservazioni di Bianchi e permettendogli di trasferirsi nell’antica canonica toscana, “con alcuni fratelli e sorelle disponibili, da me scelti in intesa con il priore di Bose, i quali avrebbero vissuto come monaci extra domum ma conservando tutti i loro diritti monastici. Cellole non sarebbe stata più una fraternità di Bose, ma – continua Bianchi – comunque una fraternità monastica in cui era possibile la presenza di un fratello presbitero per l’Eucaristia”.

Dal Vaticano nessuna reazione ufficiale ma, scrive Avvenire, “si fa notare che la ricostruzione appare in palese contraddizione con quanto affermato venerdì dal comunicato della Santa Sede” .

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