L’anniversario: Bruno Kessler, lo statista dell’Autonomia, 30 anni fa la scomparsa

Bruno Kessler (17 febbraio 1924 – 19 marzo 1991)

Oggi se a Trento dici “il Bruno”, chi è sotto i trent’anni – ma forse pure i quaranta – intende il centro sociale affacciato sul fiume Adige. Per chi è appena più avanti negli anni e ha vissuto la stagione dell’affermazione dell’Autonomia trentina, “il Bruno” è uno solo: Bruno Kessler, protagonista della storia politica e culturale del Trentino. Sono passati trent’anni dalla sua morte, il 19 marzo 1991,a 67anni, per lo stesso male che si era portato via, tre anni prima, il fratello padre Arcangelo, superiore provinciale dei Cappuccini.

Era nato a Cogolo di Peio, in val di Sole, il 17 febbraio 1924. Dopo la laurea in Giurisprudenza a Padova e il lavoro in Tribunale e poi alla Banca di Trento e Bolzano, l’inizio di una lunga carriera politica nella Democrazia Cristiana.

Fu consigliere regionale, assessore provinciale, presidente della Giunta provinciale dal 1960 al 1973, nel periodo delle riforme, e presidente della Giunta regionale dal ‘74 al ‘76. Fu deputato e senatore, presidente dell’Istituto Trentino di Cultura, dell’Istituto Agrario di S. Michele, dell’ISA, della Federazione cacciatori e di altre realtà associative.

“Un vero trentino, un grande riformatore, un cattolico democratico autentico”, capace di “pensare in grande per la propria gente”, nel ricordo tratteggiato su Vita Trentina all’indomani della sua scomparsa.

Cosa resta, trent’anni dopo, dell’insegnamento di Bruno Kessler? Lo chiediamo a Luciano Azzolini, deputato per tre legislature, sottosegretario nei governi Amato e Ciampi, ma soprattutto amico e compagno di partito di Kessler, cresciuto nell’alveo del cattolicesimo democratico.

Bruno Kessler ella redazione
di Vita Trentina con don Vittorio Cristelli per un confronto sulla caccia

Azzolini, chi era Bruno Kessler in privato?
Era una persona che sapeva ascoltare. Aveva la capacità di mettere a suo agio l’interlocutore, in modo che potesse esprimere il suo pensiero e le sue convinzioni. Questo non voleva dire che lui fosse necessariamente d’accordo. Ma, quando gli parlavi, vedevi che le ragioni del tuo pensiero venivano vagliate, accolte nella valutazione. Credo che questo sia l’aspetto più significativo e, forse, più nascosto di Kessler.

Questo atteggiamento di ascolto era rivolto a tutti, alla gente del popolo che incontrava nelle periferie del Trentino così come ai grandi personaggi che incontrava per ragioni istituzionali?

Era un atteggiamento che teneva con tutti. Io l’ho visto in diverse occasioni, sia con persone importanti, di livello, sia con l’ultima persona che incontrava quando si andava a fare i comizi: anche quella veniva ascoltata nella stessa identica misura. Era un mettersi realmente a disposizione dell’altro, in ascolto.

Tanti vedono in lui la persona decisionista.

Lui ascoltava. Poi, certo, decideva.

Come avveniva questo passaggio dall’idea alla sua attuazione concreta?

La realizzazione non era estemporanea, era frutto del lavoro che si portava avanti all’interno del partito nei diversi gruppi: c’erano le sezioni, i comitati comunali, i gruppi comprensoriali. C’era tutto un lavoro di raccolta delle diverse posizioni che poi venivano tradotte a livello provinciale.

Si è scritto molto del rapporto con Beniamino (Nino) Andreatta.

L’attaccamento con Nino Andreatta era nato ai tempi dell’università a Padova. La loro fu una di quelle amicizie che in politica hanno un doppio valore, sia nel confronto sulle scelte che si devono fare sia sul piano più strettamente personale.

Un aneddoto personale?

Alla fine di ottobre del 1990 Kessler mi invitò a cena in una trattoria sotto casa sua. Parlammo a lungo. Anche della sua malattia. Era consapevole delle difficoltà a cui sarebbe andato incontro. e in quel colloquio, molto sofferto per tanti aspetti, volle che io mi assumessi l’impegno per fare tutto il possibile perché nel suo collegio elettorale della val di Non andasse Nino Andreatta. Fu un desiderio che riuscimmo a realizzare nel 1992, anche se Andreatta non venne eletto. Cominciava una fase difficile della Democrazia Cristiana, con i primi segnali di Tangentopoli.

La campagna elettorale per le provinciali nel 1973

Dentro la DC, quale era il rapporto con le altre personalità forti del partito?

La DC era un partito con diverse anime, racchiudeva al suo interno sensibilità diverse.

Spiccava il dualismo Piccoli-Kessler.

L’uno, Flaminio Piccoli, molto forte a livello nazionale, l’altro molto forte a livello locale. Avevano sensibilità diverse, ma si sapevano ascoltare. Direi che c’era un confronto salutare. Ma ricordiamoci che la DC era l’ambito nel quale si confrontavano le diverse sensibilità presenti nel Trentino. Era una sorta di Volkspartei, anche se il termine è improprio.

L’intuizione dell’Istituto Trentino di Cultura (oggi Fondazione che porta il suo nome); la fondazione dell’Università con la facoltà di Sociologia, prima in Italia; la costruzione del Piano urbanistico provinciale… c’è qualcosa che Kessler avrebbe voluto realizzare, ma non ha potuto?

E’ rimasta in sospeso la definizione compiuta di un livello intermedio tra Provincia e Comuni, capace di superare la frammentazione comunale. Il Comprensorio doveva essere quell’entità capace di dare equilibrio ai poteri, sgravando la Provincia di certi compiti e funzioni.

Dire chi ne abbia raccolto l’eredità è forse stucchevole. Ma cosa rimane del suo stile di governo della cosa pubblica?

Non si può parlare di un’eredità di Kessler, credo che si sia chiusa una fase molto importante. La cosa bella che rimane, oltre alla realizzazione dello Statuto di Autonomia, è tutta un’esperienza di governo che può essere fonte di studio per i giovani che abbiano un interesse e un amore per la politica e che, studiandone le carte – penso ad esempio a tutti i documenti preparatori per l’elaborazione del Piano urbanistico o legati alla creazione dell’Istituto Trentino di Cultura, possono ritrovare il filo per riprendere quel pensiero. è una quantità di materiale che dovrebbe essere studiata e fatta propria dalle nuove generazioni, per riprendere quel cammino. è questa l’eredità più bella che Kessler lascia, considerato che se ne è andato giovanissimo.

Forse trent’anni sono ancora pochi per dare una prospettiva storica.

Sono pochi, ma non dobbiamo dimenticare i cambiamenti epocali di questi trent’anni: dalla Prima repubblica, finita agli inizi degli anni Novanta, alla Seconda, alla Terza… Pensiamo a che cosa produrrà la pandemia. Prima c’era un “noi”, un legame forte, un controllo tra gruppi dirigenti e cittadini. Oggi c’è una cultura prettamente individualistica, il coltivare l’interesse del gruppo di appartenenza, dell’area geografica.

Colpisce la sua capacità di attorniarsi di persone e collaboratori che ne sapevano più di lui, intellettuali come i vari Prodi, Samonà, Alberoni, ma anche gli Scoppola e gli Ardigò.

La sua forza, ripeto, era la capacità d’ascolto, l’idea che bisognasse confrontarsi con chi ne sapeva di più. Desiderava il confronto, anche con le persone culturalmente diverse da lui, perché riteneva di poter recepire quello che serviva alla comunità trentina. Non dimentichiamo mai il legame fortissimo tra Kessler e la comunità.

Un’altra sua dote?

Aveva la grande intelligenza politica di leggere il contesto in cui viveva e sapeva trarre dall’incontro con le persone ciò che serviva per portare avanti il suo disegno. Credo che sia una qualità unica: il non aver paura del confronto, anzi, ricercarlo, considerarlo un elemento di ricchezza, un aiuto nel disegno che vuoi portare avanti. Questo Kessler lo ha fatto come sistema di governo, non occasionalmente né strumentalmente, ma come dato strutturale del suo pensiero e della sua azione.

Una lezione valida per l’oggi.

Oggi la politica è una convenienza personale. Il sistema dei partiti aveva mille difetti, per carità, però consentiva alle persone che amavano la politica, dal livello locale in su, di dire la loro, di partecipare, di mediare – in senso positivo – le scelte che venivano fatte. C’era un filo conduttore che univa la sezione di partito del piccolo paese alla realtà provinciale. Si facevano convegni (come quelli che promuovevo io a Lavarone o quelli di taglio più culturale di Brentonico)… C’era una costruzione corale della linea politica. Non dico che fosse il periodo dell’oro, ma sicuramente c’era questo tentativo, questa tensione di costruzione comune.

Oggi invece?

Oggi tutto questo è finito. Oggi la politica è una corsa personale. Le piattaforme hanno sostituito il confronto e il dibattito tra le persone. Ma l’impoverimento è evidente.

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