Luca Lechthaler, dopo il basket sempre… il basket.”I nostri giovani, campioni di sé stessi”

Luca Lechthaler ha appeso le scarpe al chiodo ma la passione resta. Foto Gianni Zotta

Non importa quanto rimanesse in campo, 10 secondi per una rotazione veloce o 20 minuti a partita. Ogni volta che si toglieva la maglia e sedeva sul cubo dei cambi dagli spalti si levava forte il coro: “Lu-ca! Lu-ca! Lu-ca!”. Luca ha detto basta. O meglio, è il suo ginocchio ad essersi ribellato ad un paio di decenni abbondanti di allenamenti quotidiani, di sportellate con i “centroni” più forti  d’Europa, di salti per arpionare un rimbalzo o per schiacciare, la specialità della casa.

L’ultima volta che “il Lech” ha messo piede in campo in un match ufficiale era il 3 settembre del 2020, in Supercoppa contro Treviso. Poi tre interventi chirurgici, un calvario che qualche settimana fa ha spinto il gigante di Mezzocorona, 206 centimetri di muscoli, a dire basta. A 35 anni, tanti per un professionista del basket, non tantissimi.

Ora Luca Lechthaler ha iniziato una nuova vita, che ha sempre la forma di una palla a spicchi: l’Aquila lo ha ingaggiato come responsabile organizzativo della Dolomiti Energia Basketball Academy, il progetto della società di piazzetta Lunelli che punta a sviluppare un percorso sportivo comune tra le realtà cestistiche trentine. Per il Lech, tempo di bilanci e di rilanci. E il primo tagliafuori nel nuovo ruolo lo vorrebbe fare al Coronavirus.

Luca, il Covid ti ha tolto il piacere dell’ultima passerella davanti al tuo pubblico.
Sì, lasciare senza chiudere sul campo mi è dispiaciuto molto.

Però partiamo da lì, dal rapporto magico con i tifosi, da un amore di atto incondizionato. Dove sta il trucco?
Nessun trucco, nulla di studiato. Io sono così come mi vedete: in campo do tutto me stesso, ogni allenamento l’ho fatto come se fosse l’ultimo, senza fare calcoli, e credo che sia questo ciò che piace al pubblico. A Trento, ma anche in altre città dove ho giocato, come Montegranaro.

Bei ricordi?
Anche adesso, quando torno in questa città, è come tornare a casa, anche se sono passati tanti anni: i tifosi mi fermano, mi salutano, mi chiedono come sto. Mia moglie Simona si stupisce. Significa che è stato seminato qualcosa di buono, che ho saputo trasmettere in campo i valori con cui sono stato cresciuto, a casa e in palestra.

A 13 anni te ne sei andato di casa. Bolzano, a Siena poco più che quattordicenne, Montegranaro, Ferrara, Sassari, Venezia. Una prima parte di carriera a spasso per l’Italia, la Nazionale, l’Eurolega, gli scudetti con la Mens Sana. Poi il rientro in Trentino, nel 2013, tranne una parentesi ad Avellino. Con l’Aquila sette stagioni.
I primi anni sono stati quelli dell’esplosione e dei sacrifici. Tanti sacrifici. Mi sono creato però una famiglia presto: a Ferrara ho conosciuto mia moglie Simona, che mi ha fatto crescere molto, ho due figlie, Alice ed Emily. Ad un certo punto ho cercato la stabilità, che a Trento ho trovato. Per me la famiglia è la cosa più importante.

Non hai mai fatto mistero del tuo amore per questo territorio, non a caso abiti a Fai della Paganella.
Viviamo in un ambiente meraviglioso: non basterebbe una vita per conoscerlo tutto. E non vedo l’ora di recuperare con il ginocchio per tornare in montagna.

Rimpianti sportivi?
Forse di essermi appoggiato ad alcune persone sbagliate in gioventù. Ma, come dice mia moglie, anche questo fa parte del percorso di crescita.

Ti abbiamo visto parlare tantissimo in panchina con i compagni, con il coach… Un futuro da allenatore no?
Proprio non mi ci vedo. Io sono una persona molto schietta, vedo che spesso gli allenatori hanno caratteristiche più “politiche”. Anche se io ho avuto due coach, Frates e Finelli, che non le mandavano a dire. E apprezzavo. Ecco, direi che per ora va
bene con i bambini.

E non a caso il tuo nuovo lavoro è con la Academy.
Voglio far crescere qualcosa di importante con la società, per i ragazzi. In questo momento, in particolare, creare qualcosa per ripartire dopo il Covid, per riportare entusiasmo, come con lo Sport Garden. Dobbiamo ricominciare dialogando con le famiglie e con i bambini.

Ma quale obiettivo ti poni con i giovani?
Farli diventare campioni.

Tutti campioni…?
Sì, tutti campioni di sé stessi. I ragazzi vanno fatti crescere e fare in modo che scoprano i loro limiti. Quando li avranno conosciuti, saranno i campioni di sé stessi.

A proposito di campioni, ne avrai incontrati tanti in carriera. Quello indimenticabile?
Rimas Kaukenas. Quando giocavo a Siena, ho condiviso con lui la stanza per un anno. La sua dedizione al lavoro è incredibile, è stato ed è un modello di riferimento. Una persona d’oro e un grande atleta.

Milano e Bologna, sponda Virtus, stanno investendo tantissimo. Solco ormai incolmabile con le altre?
Milano e Virtus Bologna? Le abbiamo battute entrambe lo scorso anno… Hanno alzato l’asticella, è vero, ma è poi sempre il campo a parlare. E Trento ha dimostrato che, anche senza enormi mezzi economici, si possono fare grandi risultati: due finali scudetto e una semifinale di Eurocup ne sono la prova.

Non vedremo mai più il Lech in campo? Neppure nelle minors?
Mai dire mai. Vedremo cosa mi dirà il ginocchio.

L’ex cetista trentino Luca Lechthaler, ora responsabile organizzativo della Dolomiti Energia Basketball Academy. Foto Gianni Zotta

La carriera.

Luca Lechthaler è nato a Mezzocorona il 23 gennaio del 1986. 206 centimetri di altezza per 115 chili, ha ricoperto il ruolo di centro. A 13 anni i primi canestri nell’Us Piani Bolzano, ha completato il percorso delle giovanili nella Mens Sana Siena. A 18, nella Dinamo Sassari, in A2, il primo contratto da professionista. Ha poi giocato a Montegranaro, Ferrara, Venezia e in varie fasi a Siena, dove ha conquistato 3 scudetti (altri 2 revocati), una Coppa Italia (2 revocate) e 2 Supercoppe. In Eurolega ha disputato 27 incontri, sempre con la maglia della Montepaschi. Vanta 14 presenze in Nazionale. Con l’Aquila Basket (124 presenze) ha disputato 7 stagioni, la prima nel 2013/2014 in A2, l’anno della promozione nella massima serie.

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