I nodi al pettine

Ciò che più dovrebbe preoccupare il governo è l’impatto, se ci sarà, delle riforme bandiera sull’opinione pubblica

C’è chi si stupisce delle intemerate, piuttosto balorde, sulla Francia da parte di Di Maio, Di Battista e Salvini non tiene conto delle difficoltà che i due cosiddetti azionisti di maggioranza del governo avranno da affrontare nei prossimi mesi. Non solo devono sperare di uscire bene da alcune prove elettorali inclusa quella europea che sono tutt’altro che facili, ma dovranno fare i conti con la ricezione da parte della gente delle loro riforme così tanto propagandate.

Sul primo versante, quello delle scadenze elettorali, vanno tenuti in considerazione alcuni elementi per così dire tecnici. Da un lato l’incognita della partecipazione elettorale. Per quanto lo si possa considerare un caso anomalo quello sardo è stato un campanello di allarme, perché non ha votato neppure il 20% degli aventi diritto, col risultato di una perdita ragguardevole di consensi per M5S e una vittoria inaspettata del candidato del centrosinistra. Ci saranno poi le elezioni in Abruzzo e anche lì la situazione è incerta, ma soprattutto non si sa quanta gente voterà alle europee, elezioni che non è che siano proprio molto sentite dall’opinione pubblica. Sono elezioni con le preferenze, dunque la qualità delle persone e la dispersione delle sigle conterà. Si tenga anche conto che ci saranno “accoppiate” con suppletive, come nel caso del Trentino, e qui non è detto che si assista ad una replica di quanto avvenuto in marzo: non tanto magari per l’acume del centrosinistra, che proprio non si vede, ma per un possibile allontanamento dalle urne di una parte di quella popolazione che ha votato per esasperazione un’alternativa al vecchio sistema di potere.

Si sarà notato che tutti si buttano a tenere alta la temperatura politica. Come dicevamo, pentastellatie leghisti suonano la grancassa populista inventandosi nemici da combattere. Individuarli nella Francia di Macron non ci pare una trovata geniale, perché non è un’icona che rientra nel nostro vissuto antropologico: per spiegarci, non regge il paragone con la trovata a suo tempo di Berlusconi contro il pericolo del ritorno comunista. Certo il messaggio sotteso è che Macron rappresenti l’Europa che si vuole abbattere, ma anche qui non sappiamo quanto l’obiettivo sia ben scelto. Gli avversari della maggioranza un po’ l’aiutano con il sostenere che le elezioni europee del maggio 2019 avranno lo stesso ruolo di spartiacque delle elezioni italiane del 1948, ma si fa riferimento ad un immaginario che ormai colpisce solo platee, ben che vada, dai settant’anni in su.

Il nodo che più dovrebbe preoccupare il governo è l’impatto, se ci sarà, delle riforme bandiera sull’opinione pubblica. La situazione economica certo non aiuta: gli indicatori sono poco attraenti e le prospettive per la seconda metà di quest’anno e per il prossimo sono assai poco incoraggianti. Può darsi che la maggioranza dell’opinione pubblica sia poco informata e poco attenta alle analisi economiche, ma invece coglie facilmente l’assenza dell’inversione di tendenza che si era annunciata.

Il reddito di cittadinanza si rivela sempre più una manovra complicata e che richiede tempo per esercitare un qualche impatto. L’ingenua cultura del “detto, fatto” che anima la generazione dei nuovi protagonisti della politica rende complicatissimo per loro gestire i tempi che qualsiasi riforma richiede, specie in un sistema da un lato contorto e dall’altro scassato come è quello della pubblica amministrazione. Anche la sbandierata “abolizione della Fornero” assomiglia piuttosto alla classica montagna che partorirà un topolino: una misura ristretta sia per platea che potrà beneficiarne, sia per durata temporale. 

Intanto le classi dirigenti manifestano inquietudini crescenti. Se una loro certa quota fino a qualche tempo fa scommetteva sulla possibilità di tirare a sé i nuovi venuti, visto anche che non è poi che dei vecchi fossero più contenti di tanto, oggi affiorano sempre più preoccupazioni e delusioni. Il pressapochismo dei nuovi governanti, la loro leggerezza nel gettarsi in battaglie senza senso che indeboliscono la posizione internazionale del nostro paese, l’incapacità di abbassare i toni rendendosi conto che non può reggere un paese tenuto in continuazione sotto la pressione di lotte populiste, hanno incrinato non poco la presa di quelle componenti e tornato a far emergere altre componenti che sono poco disposte a lasciare la briglia lunga ai nuovi sperimentatori.

Insomma al momento sembra che stia tramontando la luna di miele con l’opinione pubblica di cui godeva il nuovo governo. Non è detto che non riesca a riprendersi, ma altrettanto non è detto che questa svolta possa ulteriormente consolidarsi.

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