Una politica ancora sospesa

Il piccolo test elettorale di Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta non ha creato imbarazzi evidenti al governo, perché almeno superficialmente il PD ha tenuto, conservando posizioni di potere. Certo a guardare i risultati un po’ più da vicino, qualche riflessione andrebbe fatta e sarà anche stata fatta, ma senza dare troppa pubblicità (per esempio per capire che in alcuni casi si è messa in forse la vittoria puntando sulle persone sbagliate).

L’astensionismo sembra preoccupare poco i politici, tranne quelli come Berlusconi che lo trovano una comoda scusa per spiegare la loro debacle. In realtà l’astensionismo colpisce trasversalmente un po’ tutti, anche se con qualche leggera differenza di intensità, non tale però da giustificare quel che è successo nel centrodestra. Il fatto è che la protesta antisistema va verso Salvini o verso Grillo, mentre chi si allinea all’esistente, magari per forza maggiore, continua a votare il blocco di governo, che nella nostra regione si definisce alleanza autonomista.

Certamente al momento è calato quell’entusiasmo che aveva fatto volare il PD alle Europee, ma quello era un tributo allo spirito innovativo di Renzi, che non si può replicare quando si devono votare personaggi che la gente conosce bene e il cui spirito creativo e innovativo non è che brilli di gran luce propria.

Peraltro il contesto di domenica scorsa era troppo limitato e le zone interessate troppo particolari perché si possa parlare di un risultato “emblematico”. Il passaggio atteso è quello delle regionali di fine mese, soprattutto per ciò che riguarda una serie di risultati. In particolare si vorrà vedere come andrà in Veneto, non solo in rapporto alla riconferma o meno del governatore uscente, ma soprattutto per valutare quanto la scissione di Tosi con l’alleanza di Alfano sia o meno in grado di modificare il successo leghista. Più o meno la stessa cosa in Puglia, dove non è tanto questione della vittoria del candidato PD che si dà per scontata, quanto del rapporto di forze che emergerà dalle urne fra i fedeli di Fitto e quelli di Berlusconi (ciascuno ha un suo candidato governatore). Vi è poi il caso del tutto particolare della Liguria, dove si misurerà la capacità della cosiddetta sinistra radicale (che lì ha un totem come Cofferati) di mettere seriamente in crisi il bacino di consenso del PD (che peraltro, va detto, non ha scelto proprio il candidato migliore…).

Infine i commentatori si interrogano su come finirà in Campania, territorio più che difficile, perché qui il potersi presentare come forza “agganciata a Roma” non è che sia senza peso. Nessuno dei due candidati può veramente giocare quella carta: Caldoro, l’uomo del centrodestra, ma apprezzato come buon amministratore, perché FI a livello nazionale conta ormai pochissimo ed è in disarmo; De Luca, il candidato PD che ha anch’esso una solida fama di efficiente uomo di amministrazione, perché è azzoppato dalle polemiche sulla sua grana con la giustizia ragion per cui il partito non si spende più di tanto per lui e si sa che sarà imbarazzato a sostenerlo una volta che avesse vinto.

Nel frattempo Renzi ha alcune gatte da pelare. La prima è la storia degli scatti delle pensioni dopo la sentenza della Consulta. C’è un buco imprevisto nei conti pubblici e una inquietudine galoppante in un paese in cui i pensionati sono una marea. La seconda è la vicenda della riforma scolastica, che è diventata un terreno facile per i soliti populismi di un mondo dell’insegnamento (e degli studenti) che sembra capace solo di lanciare slogan ormai anche decotti per difendere l’immobilismo di un sistema che a parole tutti giudicano piuttosto male.

A questo si aggiunge il problema, ormai endemico, delle migrazioni di massa verso le nostre coste, cioè di quel fenomeno che fa da propellente al successo della Lega. Sembra che il fronte internazionale, ma soprattutto quello europeo comincino a muoversi un poco, ma non con quel ritmo che potrebbe aiutare la presa del governo sulla pubblica opinione.

Si sarà notato che Renzi al momento ha un po’ tirato i remi in barca, perché non vuole né indebolire il suo consenso, né dare armi ai suoi malconci avversari per guadagnarsi spazi che possano rilanciarli. Certo lascia un po’ di briglia lunga a qualche collaboratore (la Boschi in specie), ma in un sistema che ormai è tutto incentrato sulla leadership del premier quelle sortite non spostano più di tanto, anche quando non riesce ad essere esattamente brillante.

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