“Fuori dalla gabbia…”

Si è conclusa il 7 aprile, con una tavola rotonda, una quattro giorni dedicata al rapporto tra teatro e salute mentale

Si è conclusa il 7 aprile a Cles, con una tavola rotonda, una quattro giorni dedicata al rapporto tra teatro e salute mentale, organizzata da Elena Galvani e Jacopo Laurino, registi di Stradanova Slow Theatre, che ha messo a confronto diverse esperienze in questo campo. Dal 2008 hanno iniziato una collaborazione con il Centro salute mentale di Cles mettendo a punto un metodo teatrale che ha preso forma sul campo attraverso anni di esperienza.

Nei primi tre giorni del festival sono state rappresentate opere di tre compagnie diverse. Nella prima serata, lo spettacolo “Ma (non) è una cosa seria”, ideato dai registi di Stradanova, già rappresentato in vari comuni del Trentino, ha avuto un grandissimo successo, come le altre due successive rappresentazioni.

Attori decisamente “folli” (resi con coraggio e ironia proprio da chi frequenta un Centro di salute mentale), con un modo tutto loro, scanzonato e naïf, raccontano una storia scaturita dal fallimento di portare in scena “I musicanti di Brema“, fiaba dei fratelli Grimm. “Nato per la follia”, del Teatro Instabile di Trento, spettacolo della seconda serata, descrive, invece, in chiave ironica, clownesca, la vita di una persona qualunque, Evaristo Ippolito, che ad un certo punto della sua vita viene colpito dalla malattia mentale: solitudine, stigma, paura, ma anche speranza e fiducia.

Terza serata: “Io sono Dio e non voglio guarire” dell’Accademia della follia di Trieste. Diretto e interpretato da Claudio Misculin con la sua compagnia, lo spettacolo è definito dal regista stesso “una critica alla psichiatria, ma anche alla cosiddetta utenza, cioè ai malati, insomma ai matti, alla loro indolenza e furbizia nell'approfittarsi degli aiuti che vengono loro forniti”.

Dell’Accademia che dirige, nata nel 1992, Misculin dice: “L’Accademia è il luogo mentale reso da un cerchio dentro il quale perdi i connotati di provenienza. Non è importante quello che sei stato, e nemmeno quello che sei nella realtà dei normaloidi: nell’Accademia vale quello che sei dentro il cerchio; e sei per quello che fai in rapporto a quello che puoi”.

Il pubblico ha risposto in maniera molto interessata e partecipata. La tavola rotonda ha concluso le tre serate ed è stata condotta da Daniela Rosi, responsabile artistica del LAO, Laboratorio artisti Outsider di Verona, che, attraverso mostre, si occupa di valorizzare grandi artisti che si trovano in situazioni di marginalità sociale. Hanno partecipato il dottor Claudio Agostini,direttore dell’Unità operativa 1 di Psichiatria e grande estimatore d’arte, oltre ai registi Galvani e Laurino e a registi e operatrici delle altre compagnie citate.

Tutti sono stati concordi nel definire il laboratorio teatrale come un ambito particolare, un territorio franco, in cui utenti operatori e volontari si trovano sullo stesso piano, a lavorare insieme per realizzare un progetto artistico comune. La divisione dei ruoli è dettata solo dal grado di competenza teatrale, ragione per cui si crea una situazione di parità tra tutti gli attori “dilettanti” guidati e diretti dai registi professionisti.

Agostini ha puntualizzato il rapporto tra teatro e psichiatria: “Fare teatro o arte in generale all’interno della psichiatria non può e non deve essere intesa come una terapia. Il teatro combatte senza volerlo un maligno sodalizio tra la malattia e l’atteggiamento della società nei suoi confronti. Aiuta ad uscire dalla gabbia” Gli argomenti del festival avranno un seguito anche con l’organizzazione di una mostra d’arte “outsider” che sarà allestita a Palazzo assessorile.

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