Vecchioni e la geometria della vita

A Caldonazzo il cantautore ha riproposto alcuni brani (e alcune canzoni) ispirate alla felicità

“Io la felicità la voglio addosso come una febbre.” E’ un’autobiografia, una raccolta di racconti che parlano di felicità, quella che Roberto Vecchioni ha presentato sabato scorso al Palazzetto di Caldonazzo, nella cornice del Trentino Book Festival, in dialogo con il dj Gabriele Biancardi. Si tratta del suo nuovo libro, “La vita che si ama – Storie di felicità” (Einaudi).

Non c’è, in questi racconti, il ricordo di premi e vittorie; ci sono invece episodi della quotidianità, momenti semplici in cui si nasconde la felicità. Pagine, come spiega Vecchioni, scritte di getto per rispondere alla domanda di una figlia: ma tu chi sei? Sei quello che si vede sul palco, una persona piena di emozioni e di passioni che fa piangere le persone con le sue canzoni, oppure il buffone che gioca con i figli?

Si apre infatti con una lettera ai quattro figli, “La vita che si ama”. Una lettera in cui Vecchioni spiega che la felicità non è una questione d’istanti, un fatto occasionale. “La felicità non è un teorema, non è un angolo acuto della vita, una bisettrice, un cerchio, o la quadratura del cerchio. La felicità è la geometria stessa”, racconta sul palco di Caldonazzo, leggendo alcune righe del suo libro. Non si è felici solo nella tranquillità e nella serenità. Si è felici anche quando prendi la chitarra e inizi a suonare ricordando un amore passato, una Seicento e le luci di San Siro che, dopo quella fine, non saranno più le stesse. E, da lì, nasce una canzone, “Luci a San Siro”, che, racconta Vecchioni, non sarebbe mai stata scritta se quell’amore non fosse finito. Ecco perché “si maschera da dolore a volte, la felicità”. Si tratta solo di incantare il tempo, di fermare i ricordi così da conservarli e poterli rivivere. Si tratta di bloccare, prendendo carta e penna per scrivere una canzone, episodi che, altrimenti, sfuggirebbero. “Questo è quello che chiamo tempo verticale”, spiega Vecchioni. Un tempo in cui nulla si perde veramente e in cui anche l’immaginazione ha un significato diverso: non più un’illusione proiettata verso un futuro che poi, magari, non si realizza, ma un modo particolare di vivere.

Felicità è il ricordo di una commissione di maturità – di cui Vecchioni era presidente – che fa di tutto per salvare un ragazzo brillante che lascia in bianco il tema d’italiano, facendo così a pezzi il destino. E che ci riesce: il ragazzo uscirà dalle superiori con la lode. Felicità è il ricordo del padre, Aldo, che, a pochi giorni dalla maturità, porta il figlio a Parigi, dove, alla Tour d’Argent, sfidando il cameriere, compra tutte le ostriche del ristorante. Felicità è la madre, “che c’era sempre”, a ogni canzone, a ogni malinconia, forse anche quando non doveva esserci.

E felicità sono i figli, a cui ha dedicato, tra le altre, due delle canzoni che ha cantato accompagnato dalla chitarra di Massimo Germini, “Canzone da lontano” per Francesca e “Figlio figlio figlio” per Arrigo.

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