Consorzio vini da rifare

Ma per risolvere i problemi della vitivinicoltura trentina si devono rivedere e correggere la struttura organizzativa e le sue finalità

Nel mese di dicembre si è conclusa la serie delle assemblee di bilancio delle cantine sociali aderenti a Cavit e di quelle che continuano ad adoperare come cooperative di primo grado (Mezzacorona, La Vis e Ala).

Si è trattato in tutti i casi dell’illustrazione, discussione e approvazione del bilancio dell’esercizio 2014/2015 chiuso a fine giugno. Stando ai comunicati stampa ripresi dagli organi di informazione, i risultati sono stati di grande soddisfazione per la base sociale (viticoltori), pur nella diversità di remunerazione delle uve conferite legata situazioni aziendali o territoriali.

La falsariga dei comunicati era pressoché identica in tutti i casi: aumento le liquidazioni rispetto all’anno precedente, risalita significativa del reddito a ettaro di vigneto, plauso all’operato di Cavit per il buon esito del mercato estero (soprattutto Pino grigio negli USA) e il riscontro economico garantito dal Consorzio di secondo grado anche per i vini autoctoni e varietali venduti non solo all’estero, ma anche in Italia con il marchio della grande cantina viticoltori di Ravina.

La nostra pluridecennale vicinanza al mondo vitivinicolo trentino e soprattutto ai viticoltori e agli enologi direttori di cantine private e sociali, quasi tutti ex allievi della Scuola enologica di S. Michele all’Adige, non può che vederci soddisfatti dei risultati economici raggiunti.

Non possiamo però sottacere che essi possono contribuire a nascondere alcuni problemi che pesano sul settore vitivinicolo trentino. Alcuni sono di natura emergenziale, cioè attuale e congiunturale; altri invece provengono dal passato e sono frutto della natura strutturale e organizzativa del sistema vino Trentino.

Inizia con queste parole un documento riservato redatto da persona competente e al di sopra del parti che opera all’interno del Consorzio vini del Trentino Il documento è intitolato “Problematiche e soluzioni per i sistema vitivinicolo trentino”. Partendo dai problemi strutturali l’autore, del quale ovviamente condividiamo il pensiero espresso, mette al primo posto la forte diversificazione del sistema produttivo trentino tra grandi produttori e piccoli produttori. La sostanziale assenza di imprese private di dimensioni medie continua a rendere poco equilibrato il sistema produttivo ed è uno degli elementi che limita una maggiore evidenziazione dell’identità enologica trentina soprattutto per quanto riguarda i vini di eccellenza.

Senza l’intermediazione di Cavit questi vini continuerebbero ed essere pagati meno di quanto effettivamente valgono. Salvo eccezioni che sono ben note agli addetti e che poggiano sulla notorietà di marchi consolidati.

Dovremo quindi fare a meno di Cavit? Assolutamente no. Finché dura il miracolo del Pinot grigio negli USA, i viticoltori trentini soprattutto del fondovalle potranno contare su una remunerazione soddisfacente.

Potrà però questo vino assicurare anche al Trentino gli stessi o maggiori risultati economici quando partirà la grande campagna interregionale del Pinot grigio DOC Venezie condivisa in minoranza col Veneto e la regione Friuli Venezia Giulia?

L’estensore del documento riprende la soluzione proposta a metà degli anni ’90 da Emilio Pedron: dare maggiore autonomia e sviluppo alle cantine di primo grado senza trascurare, anzi coinvolgendo nel sistema, i vignaioli. La regia della vitienologia del Trentino deve tornare in mano ai produttori.

Sono più di una le cantine sociali che mal sopportano la gestione delle scelte produttive e gestionali dei vigneti esercitato seppure in via indiretta da Cavit. La necessità di affidare ad un ente paritariamente partecipato le sorti della vitivinicoltura trentina è apparsa chiara fin dal 1949 ai valorosi pionieri che hanno fondato il primo Comitato vitivinicolo. Le categorie vi partecipavano alla pari ed erano sostenute e illuminate da persone di altissima professionalità e antiveggenza. Da quando la cooperazione di secondo grado ha preso la prevalenza e la regia del Comitato, la fase propulsiva si è andata disperdendo. L’istituto Trentino del vino succeduto al Comitato vitivinicolo è stato soffocato dalle stesse mani cooperative che lo avevano creato.

L’attuale Consorzio vini è nato a metà del decennio a seguito di una legge nazionale che gli ha attribuito le tre funzioni (tutela delle denominazioni, indirizzo produttivo, promozione della qualità) senza concedergli mezzi e personale adatti per agire autonomamente. Il ruolo egemone delle cooperative e delle grandi aziende private è anzi aumentato.

La contestazione di alcune cantine sociali nei confronti del Consorzio vini riguarda soprattutto l’inconsistenza dell’apporto dato alla promozione unitaria dei vini trentini.

Si salva solo l’ufficio tecnico che svolge puntualmente il suo ruolo.

I dirigenti del Consorzio vini anche a seguito delle dimissioni da presidente di Alessandro Bertagnolli (cause non rese pubbliche) sono stati costretti a iniziare una serie di incontri per scegliere il nuovo presidente.

Devono invece capire che oltre ad un dirigente giovane e libero da condizionamenti serve una vera ristrutturazione organizzativa del Consorzio e delle sue funzioni.

Solo così si può superare lo stato di pur fortunata mediocrità aurea finanziata da dollari USA.

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