“Non esiste la ricetta del campione”

La settimana scorsa a Cavedine una serata su sport e educazione con don Alessio Albertini, consulente ecclesiastico nazionale per il Centro sportivo italiano, e Francesco Moser

Decifrare la vita con occhi diversi, leggere il passato con le lenti della speranza, guardare al domani con slancio positivo e all’avversario in gara con benevolenza. Sono alcune attenzioni per chi, in qualità di educatore a contatto con le nuove generazioni, è chiamato a trasmettere valori e modelli di vita credibili, anche attraverso la disciplina sportiva, promuovendo il pieno sviluppo della persona.

Dunque un allenatore può intercettare le domande che pullulano nelle menti dei giovani sul senso dell’esistenza e orientarne le prospettive? La domanda, alquanto retorica, imbocca un binario che non t’aspetti: “Un ragazzino non dirà mai di andare all’allenamento per farsi educare, dirà invece di andare a giocare e divertirsi”. Lo sostiene, e non gli si può dar torto, don Alessio Albertini invitato la scorsa settimana a Cavedine.

Una serata coi fiocchi, quella aperta alla cittadinanza e intitolata “Quando allenare è educare” che ha visto di fronte, ricorrendo entrambi ad aneddoti personali e storie di famiglia, il fratello di quel famoso centrocampista Demetrio che disputò quattordici stagioni di campionato indossando la casacca del Milan (“sentirmi dire che sono suo fratello è un dazio che continuo a pagare volentieri”, ha esordito scaldando l’attenta platea colorata di componenti dell’associazionismo sportivo valligiano) e il ciclista vignaiolo primo recordman dell’ora con ruota lenticolare Francesco Moser, che di presentazioni in mezzo ai suoi conterranei non ha alcunché bisogno.

Accolti in sala consiliare sulle note dell’Inno di Mameli dai coristi di casa, nelle file del Cima Verde, e moderati da Antonio Cossu, hanno fatto uso di una dialettica coinvolgente e tutt’altro che scontata in tema di partita educativa. “Educare allo sport non sia educare alla vittoria”, il monito di Albertini in veste di consulente ecclesiastico nazionale per il Centro sportivo italiano, organizzazione che raggruppa 13 mila società sportive e forte di 1,5 milioni di iscritti, metà dei quali under 18. “Un allenatore, così come un educatore, ti prepara al meglio, ti suggerisce gli ultimi consigli – ha argomentato partendo dalle sue esperienze oratoriane nell’hinterland milanese – ma poi tocca a te perché lui non entra in campo”.

Ma non lo si illuda, il giovane atleta, tanto più oggi in cui tendenzialmente “se non vinci non sei nessuno”, concezione diametralmente opposta al messaggio di Benedetto XVI in occasione dei Campionati mondiali di nuoto del 2009 circa l’utilità dello sport “a sviluppare i doni che Dio ha fatto all'uomo”. Riconoscere al bambino il diritto di essere qualcuno senza per forza diventare un campione e insegnargli poco per volta a “saper reagire alle sconfitte” che, se è consentito l’ossimoro, diventano “vincenti” quando aiutano a rialzarsi e ripartire più forti di prima.

Concetti illuminanti condivisi dallo “sceriffo” di Palù di Giovo, così soprannominato durante la sua carriera agonistica per doti di combattività sui pedali, che sciorinando tratti di gioventù trascorsa in mezzo alle bici dei fratelli, ha ribadito: “Non esiste una ricetta per creare un campione e diventarlo è sempre più difficile”. Lo attestano le statistiche: di campioni ne escono col contagocce e quando lo sguardo è fisso sull’orizzonte del primato la selezione diviene inevitabile: l’esclusione di chi non riesce a stare al passo ne è la prima e immediata conseguenza, eppure in tanti si ostinano ancora ad occuparsi dei ragazzi volendo far brillare nuove stelle anziché plasmare “uomini veri”.

Essere campioni è una possibilità remota, esclusiva di alcuni, e mentre alcuni preparatori atletici si autocelebrano, tutti gli altri possono essere certi di aver accompagnato uomini e donne in quel cammino tortuoso e talvolta incomprensibile che è la vita. E in questo risiede la missione del Csi: la passione educativa, tanto necessaria oggi quanto ai tempi di Don Bosco, insita nell’approccio positivo allo sport e alla competizione che fa crescere umanamente la persona, qualunque essa sia, a prescindere dalle gesta atletiche.

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