Trieste, 22 gennaio – “È il mio film più emotivo. Quello dove c’è la mia anima”. Sergei Loznitsa ironizza quando la direttrice del Trieste Film Festival Nicoletta Romeo lo definisce sovietico. In effetti è nato a Baranavicy quando questa città era Urss e ora Bielorussia. Il regista risponde: “Sovietico non sovietico”.
Al Politeama Rossetti siparietto prima della proiezione di “L’invasione” (2 ore e 25 minuti, fuori concorso), quella della Russia di Putin all’Ucraina, iniziata il 24 febbraio 2022. Dopo documentari quali “Maidan” e “Baby Yar” Loznitsa ad occuparsi dell’Ucraina, della quotidianità della guerra.
“Ho deciso di concentrarmi sull’esistenza quotidiana della gente – afferma –. Volevo osservare e documentare i modi in cui la guerra danneggia, colpisce e trasforma le loro vite. Descriverei questo mio film una corona di sonetti, caratterizzato da una struttura circolare in cui ogni nuovo episodio è collegato al precedente per l’argomento o lo stile o il personaggio o qualche altro elemento”. Tanti episodi che, uno dopo l’altro, forniscono un quadro d’insieme, tappe di una via crucis ancora in corso: i funerali di alcuni soldati uccisi, gli allarmi antiaereo, ma anche i matrimoni e le nascite, così come la rieducazione di chi torna dalla guerra senza una gamba, un braccio e prova a riprendere a vivere dopo il trauma. Ma pure il macero (assurdo) dei libri della letteratura russa.
La 36a edizione del Trieste Film Festival, sulla produzione dell’Europa centro orientale e dei Balcani occidentali, venerdì 24 gennaio si concluderà con le premiazioni dei film in concorso, tra lungometraggi, documentari e cortometraggi.
Anche quest’anno un ampio spettro di queste cinematografie che sugli schermi italiani si vedono ben poco nonostante siano, generalmente, di interesse e, in alcuni casi, di assoluto valore. Inoltre, a ottant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale e della Resistenza al nazifascismo, il Tff ha dedicato una sezione imperdibile al dopo conflitto, “1945. La guerra è finita? Traumi, rovine, ricostruzione”, con documentari e film provenienti dall’Est Europa, anche se non solo, spesso inediti, girati in quegli anni. In “Wild Roses”, sezione dedicata alle registe serbe, il doc “Paesaggi della resistenza” di Marta Popivoda. Un doc magnifico. La protagonista è la 97enne Sonja, ex combattente antifascista jugoslava, scomparsa negli anni successivi alle riprese. Racconta, nel giro di dieci anni, la sua esperienza di guerra e nei campi di concentramento nazisti. Contemporaneamente, la regista e la sceneggiatrice Ana Vujanovic, nella vita una coppia, puntualizzano il loro attivismo “di sinistra” confrontando la storia di Sonja con le esperienze “del fascismo nell’Europa di oggi”. Memoria e monito.