Probabilmente Spielberg è il più conosciuto regista contemporaneo, autore che ha influenzato con la sua cinematografia l’immaginario del secondo novecento e continua a farlo anche nel nuovo millennio; ed è anche uno dei pochi registi americani in grado di coniugare le esigenze dello spettacolo con la rappresentazione dei temi veri, di contraddizioni e problemi della modernità.

Ora è al top del botteghino con Il ponte delle spie interpretato dal premio Oscar Tom Hanks; ancora una volta dopo Schindler’s list, il regista rilegge in chiave epica e con impeccabile senso della fiction una delle pagine più dolorose e difficili della storia occidentale: la Guerra Fredda.

Da una parte l’America, anzi gli USA, e la democrazia, dall’altra la Russia, Unione Sovietica, e la dittatura; da una parte il muro di Berlino e l’ incomunicabilità, dall’altra il ponte di Glienicke, l’incontro e la mediazione. Spielberg gioca con questi simboli, mettendo al centro di tutto il suo eroe: un uomo comune come l’avvocato James B. Donovan, che grazie al suo forte senso democratico diventa il difensore dei diritti e dei valori dell’umanità e inizia la politica degli scambi.

Siamo nel 1957, Rudolf Abel, viene arrestato a Brooklyn e per il processo viene incaricato l’avvocato James B. Donovan, che prende sul serio questo incarico tanto che intreccia con il suo cliente un rapporto umano. Donovan vede in Abel un uomo e non un nemico, un uomo corretto, “tutto d’un pezzo”, che ha dunque bisogno di essere difeso, nonostante il regime di guerra lo vorrebbe morto, considerandolo una spia.

L’avvocato però è solo: non viene capito né dalla moglie, né dai suoi concittadini, né dai suoi colleghi. Ma quando il pilota di aereo americano Francis Gary Powers viene fatto prigioniero dai Sovietici, è proprio lui ad avere un’ illuminazione: lo scambio dei prigonieri sul ponte.

Inizia il grande viaggio che lo porterà a tessere il filo tra il muro e il “ponte delle spie”.