La bagiana della Val di Ledro

“Entorn al cap (il campo) dele patate se fava la bina dei fasöi, quei da sgranar o da magnar en bagiana (da mangiare verdi)”. Il racconto di Anna comincia così, nel suo orto di Tiarno di Sopra in Val di Ledro mentre estrae da un sacchetto un miscuglio di fagioli nostrani: riconosciamo il don Lucillo, un borlotto (forse il famoso borlotto di Storo?), il grisö piccolo e screziato, i colorati coccinei e infine il piccolo seme nero della bagiana della Val di Ledro. Prima di Anna, che li coltiva da più di quarant’anni, era Maria, classe 1922, a seminarli ogni anno. è stata lei a insegnarle la tradizione di deporli nella terra calda di fine maggio in postarelle da tre/quattro semi, “a zampa di gallina”, con un palo in centro. è un fagiolo che mantiene ogni anno la promessa di un raccolto abbondante; rustico, sano, senza bisogno di irrigazione e nemmeno di cure particolari. Unico difetto, la fioritura abbondante ma, contemporanea, alla quale si rimedia con una semina scalare. I baccelli lessati sono teneri, saporiti e senza filo.

La Val di Ledro è una fonte generosa di biodiversità coltivata, sia orticola che frutticola: un tesoro conservato che si ha il privilegio di apprezzare ancora , probabilmente grazie anche al fatto che in valle non si è mai diffusa un’agricoltura di tipo intensivo e che in questi paesi di montagna sopravvive ancora la virtuosa abitudine di fare l’orto e di riprodurre i semi. Purtroppo sono scomparse alcune specie tradizionali come il “marì” (grano saraceno), la cui semina chiudeva il ciclo annuale di coltivazione dopo ”le patate, el formet e la segala”. Basterebbero pochi semi per salvarlo! è un appello della Pimpinella a cercarlo.

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