La cotogna, tra storia e tradizione

È sufficiente nominarla, la cotogna, per riattivare tracce olfattive di profumi casalinghi, ben noti a chi è un po’ avanti negli anni: quello della cotognata, quello dei frutti lasciati al centro del tavolo, o negli armadi per profumare la biancheria. Pianta di origine caucasica, oggi è frutto dimenticato: sta scomparendo dalle nostre campagne, ma un tempo lontanissimo per le sue proprietà benefiche compariva persino in un editto della fine dell’VIII secolo, il Capitulare de villis, come appartenente a quel gruppo di 89 specie vegetali (72 ortaggi e 16 alberi) ritenute da Carlo Magno di indispensabile coltivazione. Ma già Solone suggeriva alle novelle spose di mangiare questi frutti per favorirne la fertilità. Il cotogno, parente lontano del melo, fiorisce elegantemente a fine primavera.  

I frutti pesanti, coperti di peluria, dalla forma irregolare, a seconda della varietà assomiglieranno più a una mela o più a una pera, faranno piegare i rami della pianta sotto il loro peso. Mela d’oro (crysòmelon) in greco antico per il colore giallo della buccia, dalla polpa bianca, soda e compatta (chi in Trentino non hai mai sentito, l’espressione dialettale “Te dago en codògn” per dire un pugno duro?). I frutti, ricchissimi di pectina e tannino, sono quasi impossibili da addentare, pur quando maturi. Cotti in acqua e zucchero vengono trasformati in una marmellata morbida o in panetti: la citata cotognata, che asciugata e confezionata in cubetti gelatinosi dal colore arancio rosso, delizia il palato col suo sapore indimenticabile. Giovanni Bellini, nella seconda metà del Quattrocento, dipinse una Madonna con in braccio il Bambino che stringe nella manina destra una mela cotogna, significando probabilmente la risurrezione: Plinio il Vecchio scriveva che tagliando un ramo e piantandolo, sarebbe subito ricresciuto. 

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