La nazionalità del canederlo, una disputa dopo il riconoscimento Unesco

È tipico del pensiero nazionalista attribuire a tutte le cose un valore legato alla “nazione” o all’etnia. Però la nazione è un costrutto ideologico e anche sull’etnia si potrebbe a lungo discutere. Gli stati nazionali, sorti a partire dall’800 e divenuti la regola con la dissoluzione dei grandi imperi “multinazionali”, stanno alla base di molti dei problemi irrisolti dell’attuale scenario geopolitico. Il pensiero nazionalista è talmente radicato da impedire ai più di distinguere tra Stato e “nazione”, cultura e territorio, appartenenza a un gruppo linguistico o a un’entità politico-amministrativa. Solo su questo sfondo può nascere una disputa sull’italianità del canederlo.

Dopo che l’Unesco, lo scorso 10 dicembre, ha iscritto la “cucina italiana” alla “Lista rappresentativa del patrimonio immateriale umano”, la grande questione, rilanciata nientemeno che dal Dolomiten, è se i canederli debbano essere considerati anch’essi parte della “cucina italiana” (“Ora i canederli sono improvvisa mente diventati patrimonio culturale italiano” …). Per tutti quelli che, come noi, sono cresciuti a polenta e canederli la domanda non va nemmeno posta. Il canederlo non c’entra con presunte identità nazionali, ma è un pezzo delle nostre vite. Attorno a una terrina di canederli (con crauti, luganeghe, carré o würstel) si sono consolidate amicizie, sono nate storie.

Ogni persona informata di gastronomia sa che il canederlo, nelle sue varianti regionali, è proprio della cucina di molti paesi della Mitteleuropa e di diverse regioni delle Alpi, anche al di qua dello spartiacque. Dal Friuli alla Lombardia. Del Trentino neanche a parlarne. E non serve citare canzoni che descrivono pure la ricetta (un po’ così, peraltro) per cucinare “balotole col pan gratà”.

Le motivazioni del riconoscimento non hanno carattere etnico-nazionale. I cibi sono espressione di un linguaggio universale. “L’UNESCO riconosce … la rappresentatività della cucina italiana come veicolo di cultura: si tratta di un insieme di saperi non solo culinari, ma anche conviviali e sociali che sono trasmessi di generazione in generazione su tutto il territorio nazionale. Attraverso la condivisione del cibo, la creatività gastronomica e lo stare insieme, la cucina italiana si fa portatrice di valori di inclusività e di sostenibilità ambientale”. Le differenze regionali e le contaminazioni fanno parte di questa cultura multi-identitaria.

La CEI, nella recente nota su “Educare a una pace disarmata e disarmante”, ci ricorda che “la crisi ha favorito il dilagare dei nazionali che “il nazionalismo del XXI secolo ha … profili diversi (anche tra le diverse nazioni europee), accomunati però dal richiamo ad una presunta identità univoca del popolo” e che “i nazionalismi trovano consenso soprattutto nelle componenti della società più esposte alla crisi politico-economica, sensibili a riletture della storia che evocano una presunta età dell’oro per promettere prosperità a chi difende l’identità”. I canederli altro non sono che gnocchi di pane. Ingredienti poveri all’insegna dell’economia circolare (o sferica, nel nostro caso).

Le due espressioni canederlo (ted. Knödel) e gnocco, secondo gli studiosi di etimologia (non tutti), potrebbe derivare da una stessa radice che in tedesco si evolve in Knoten, che in latino si scrive nodus e che, come è evidente, significa “nodo”. Ecco, dunque, per chi vuole prendere sul serio la nuova deriva dei nazionalismi, un altro nodo da sciogliere (nel brodo o col ragù).

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