Che sapore ha il male? Cosa si prova quando penetra nella carne? A cosa si è disposti pur di sopravvivere? Con Le assaggiatrici, presentato in anteprima al Bari International Film & TV Festival, Silvio Soldini ha portato sul grande schermo una storia inedita, tratta, con alcune differenze, dal romanzo omonimo di Rosella Postorino, edito da Feltrinelli e Premio Campiello nel 2018, a sua volta ispirato alla vicenda di Margot Wölk, che nel 2012, a 95 anni, ha confessato di essere stata da giovane un’assaggiatrice di Adolf Hitler. Per l’autore di “Pane e Tulipani” (2000) è il primo film in costume – con Cristina Comencini tra le sceneggiatrici, un cast di attori e attrici tedesche – e in tedesco. Alcune scene sono state girate in Alto Adige, nell’ex caserma Druso di Silandro e a Prato allo Stelvio, con il sostegno di IDM Film Commission Südtirol e del Ministero della Cultura.
Ambientata nel 1943, la pellicola segue le vicende della protagonista nel corso di un anno: la giovane segretaria berlinese Rosa Sauer (Elisa Schlott) raggiunge i genitori del marito Gregor – poi dato per disperso sul fronte russo – in un villaggio della Prussia orientale, ignorando che è molto vicino alla Tana del Lupo, il quartier generale dove Hitler si nasconde. Una mattina Rosa e altre sei donne vengono portate al comando di zona dove scoprono che sono state scelte per assaggiare i cibi cucinati per Hitler, obbligate a rischiare la vita ogni giorno per evitare che sia avvelenato. Chiuse nella sala assaggi, le donne sono vittime di una guerra che subiscono sedute ad una tavola dove si consumano corpi e menti tra la paura di morire e la fame, e diventano una piccola comunità intessuta di confidenze, solidarietà e tradimento. Disperata per la sorte del marito, Rosa si sente sola, ha fame di vita e cede quasi subito alla corte del comandante delle SS Albert Ziegler, scoprendo gli orrori compiuti dal regime al punto da desiderare che la Germania perda la guerra. L’uomo è un ingranaggio del sistema di potere e, pur salvando Rosa, deciderà senza pietà il destino di Elfriede (Alma Hasun).
Le assaggiatrici sono inquadrate sedute, a tavola, in cortile, distese su un prato o nel fienile dove si consuma l’amore clandestino, a letto mentre una di loro viene aiutata ad abortire, prigioniere in una mortale routine quotidiana. Soldini racconta in modo “ordinato” la guerra dal loro punto di vista, cavie umane, come poi sarà nei campi di concentramento, il corpo ridotto a oggetto privato di ogni dignità. E le mani piene di sangue, sulle quali si chiude in un fermo-immagine il film, sembrano aprire gli occhi sulla tragedia che verrà, anticipando il dilemma della sottile linea di confine tra ciò che rende umani e carnefici, vittime e al tempo stesso complici. Il moto della coscienza che si ribella, si rivela essere l’unico “cibo” che spinge a rialzarsi, anche oggi in un mondo in guerra in cui i civili vengono sacrificati sul crudele piatto di tregue che non reggono e trattative al di fuori di ogni diplomazia.