Mastandrea prosegue la sua personale indagine sul confine tra vita e morte

Lui (Valerio Mastandrea), Veterana (Laura Morante) e Curiosone (Lino Musella) in una scena del film

Tra il qui e l’altrove, in un limbo dove il corpo è immobile e l’anima vaga in un tempo sospeso, in attesa di morire o “tornare su”. E invece no, anche nella condizione più insondabile e misteriosa può accadere qualcosa che permette di reagire al dolore, risveglia emozioni, fa sentire di nuovo vivi. È l’ipotesi esplorata con poetica leggerezza da “Nonostante”, diretto da Valerio Mastandrea, alla seconda prova da regista dopo “Ride” (2018), Nastro d’Argento come Miglior regista esordiente, qui anche co-sceneggiatore e attore protagonista, a confronto con il complesso tema della paura della morte, propria e dei propri cari; non a caso il film è dedicato alla memoria del padre Alberto.

Presentata al Festival del cinema di Venezia 2024, la pellicola porta subito nel mondo astratto e invisibile di persone in coma sulle note delle musiche originali dell’islandese Tóti Gudnason. Non hanno storia, indossano sempre gli stessi vestiti, di notte vegliano se stessi e di giorno si muovono fuori e dentro l’ospedale. “Lui” (Valerio Mastandrea) è disinvolto, le sue giornate sono scandite da incontri con gli altri ricoverati, resistendo al forte vento segno di morte imminente e andando al campo di atletica dove un allenatore spiega i segreti del salto in lungo. Pure “lui” si mette in fila per saltare e corre, ma ogni volta si ferma prima del punto di stacco, fino a quando l’arrivo di “lei” (l’argentina Dolores Fonzi) lo spingerà ad accogliere l’incomprensibile, scoprendosi innamorato e ricambiato. Le persone in coma sono indicate in modo generico, in quello spazio di passaggio “si sta e basta”, come dice “veterana” (Laura Morante) a “lei”, senza obblighi o responsabilità, ma l’amore, pur impossibile da vivere, cambia le cose.

Mastandrea ha dedicato il film a chi, di fronte a un sentimento così forte, decide di non scappare, e prosegue l’indagine personale iniziata con “Ride” e con la serie tv “La linea verticale”, diretta dall’amico Mattia Torre (1972-2019), aggiungendo un tassello in cui, ponendosi dal punto di vista di chi sa che, tutti prima o poi, devono “lasciare la stanza”, trasforma il titolo in sostantivo, idea presa dal poeta Angelo Maria Ripellino (1923-1978): “In una sua opera parlava della sua esperienza in sanatorio, dicendo che siamo tutti dei ‘nonostante’, sferzati dal vento che cercano di resistere alle sofferenze della vita”.

“Lui” ha paura di dimenticare la donna amata e non si rassegna, così chiederà aiuto a “volontario” (Giorgio Montanini), l’unico vivo che può parlare con loro, poi, prima di andarsene in un volo visivamente possibile solo nei sogni, saluterà con affetto “curiosone” (Lino Musella). Nessuna barriera può spezzare i legami d’amicizia e d’amore, e anche se “Noi non ci saremo”, come cantano i C.S.I., la memoria può riscattare l’oblio di un limbo pieno di vita e custodire un anelito all’eternità.

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