Non lasciamo arrugginire la memoria

Quest’anno cade l’ottantesimo anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa (27 gennaio 1945) foto Gianni Zotta

A 80 anni dalla liberazione di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa, il 27 gennaio 1945, è quanto mai difficile celebrare degnamente la Giornata della Memoria. Difficile perché la memoria si arrugginisce o si altera. Ma proprio per questo è tanto più necessario.

La prima deportazione di ebrei dal territorio italiano – benché da pochi giorni occupato e amministrato dal Terzo Reich – avvenne da Merano il 16 settembre 1943. La comunità ebraica, sviluppatasi nella prima metà dell’800, quando agli ebrei fu concesso di farlo, aveva contribuito alla crescita della Merano “città di cura”. Era improvvisamente cresciuta nei primi anni Trenta del ‘900, quando sull’onda delle teorie e delle politiche hitleriane diversi Paesi avevano cominciato con le persecuzioni. Pensavano di aver trovato a Merano e in Italia un luogo sicuro. Si sbagliavano. Già nel 1933, in Germania l’anno della svolta, accade proprio a Merano uno dei primi atti antiebraici registrati in Italia: un gruppo di nazisti locali percosse due ebrei italiani e imbrattò i muri con slogan antisemiti. Il presidente della comunità ebraica meranese Josef Bermann, in un memoriale mandato al Prefetto, si mostrava preoccupato: “Purtroppo anche nella nostra Provincia si deve constatare che il Partito Hitleriano fa una propaganda di odio contro gli ebrei”. Nel 1938, a seguito delle Leggi razziali, gli ebrei stranieri furono tutti espulsi. Le poche decine rimaste in città dopo l’8 settembre 1943 vennero rastrellate e spedite ad Auschwitz. Solo una donna poté salvarsi.

La storia ai nostri giorni è sconosciuta e strumentalizzata. Come quella dell’antisemitismo che ha condotto alle tragedie più disumane. Oggi il “pensiero breve” in un attimo equipara ebrei, Stato d’Israele, Governo israeliano, ebraismo e sionismo. Confonde, in modo strumentale, Shoa, Olocausto, genocidi e crimini di guerra. Così l’antisemitismo, che non si è mai estinto, è rimasto come brace sotto la cenere e ritorna a infestare i pensieri, le scelte e le azioni.

“Se noi salveremo i nostri corpi e basta dai campi di prigionia, sarà troppo poco. Non si tratta di conservare questa vita ad ogni costo, ma di come la si conserva. A volte penso che ogni situazione, buona o cattiva, possa arricchire l’uomo di nuove prospettive. E se noi abbandoniamo al loro destino i duri fatti che dobbiamo irrevocabilmente affrontare, se non li ospitiamo nelle nostre teste e nei nostri cuori per farli decantare e divenire fattori di crescita e di comprensione, allora non siamo una generazione vitale. Certo non è così semplice, e forse meno che mai per noi ebrei; ma se non sapremo offrire al mondo impoverito del dopoguerra nient’altro che i nostri corpi salvati ad ogni costo, e non un nuovo senso delle cose, attinto dai pozzi più profondi della nostra miseria e disperazione, allora non basterà”.

Il Messaggio per la 36ª Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei (17 gennaio 2025), dal titolo giubilare “Pellegrini di speranza” ha scelto queste parole di Etty Hillesum, scritte nel campo di concentramento, per dire che anche oggi “non si tratta di difendere la nostra sopravvivenza nella società occidentale, ma di lavorare per costruire un senso nuovo delle cose. La nostra missione è quella di far germogliare speranza e costruire comunità”. In questi ultimi tempi, dice la CEI, “segnati dal tragico atto terroristico del 7 ottobre 2023, dalla guerra successiva e dall’escalation del conflitto in Medio Oriente, i rapporti tra cattolici ed ebrei, in Italia, sono stati difficili con momenti di sospetto, incomprensioni e pregiudizi”.

Mons. Ambrogio Spreafico, membro del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, è più esplicito: “La situazione che si è creata dopo il 7 ottobre, nella risposta di Israele, ha fatto purtroppo emergere in maniera violenta quelle radici antisemite che evidentemente c’erano nella nostra società e devo dire anche all’interno talvolta del nostro modo di pensare come cristiani e come chiesa cattolica”. E spiega: “L’antisemitismo è lo specchio del mondo e di un mondo violento che considera l’altro ‘altro’ e non parte di sé stesso. L’ebreo, purtroppo, anche nella storia del cristianesimo, è rimasto come ‘altro’, nonostante il magistero del dopo Concilio della Chiesa. E quando c’è bisogno di un capro espiatorio su cui riversare la propria insoddisfazione sociale, politica, economica, emerge sempre purtroppo la figura di qualcuno da considerare nemico”. Malgrado le difficoltà, scrive la CEI, “il dialogo non si è interrotto. In Europa sono tornati deprecabili atti di antisemitismo e incaute prese di posizione, a volte anche violente. Proprio per questo il dialogo va rafforzato. Continuiamo a crederci”.

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