Popoli, Stati, Nazioni, razze. L’Europa tra due manifesti

La Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, il 19 marzo alla Camera ha citato alcuni passaggi del Manifesto di Ventotene © foto governo.it

Le discussioni sul Manifesto di Ventotene, per quanto pretestuose, hanno dato visibilità a un documento che, benché da leggere tenendo conto del contesto in cui fu redatto, offre a tutt’oggi spunti interessanti di riflessione. Il tema centrale, l’unità europea, riguarda direttamente la storia delle regioni di confine come il Trentino Alto Adige. Ma c’è un altro aspetto che va considerato con attenzione, per non dimenticare dove nascono molti conflitti del passato e del presente. Già in apertura del Manifesto si fa riferimento all’affermazione dell’“eguale diritto a tutte le nazioni di organizzarsi in stati indipendenti”, quale frutto del processo storico che ha determinato la crisi della civiltà moderna.

“Ogni popolo, individuato dalle sue caratteristiche etniche, geografiche, linguistiche e storiche, doveva trovare nell’organismo statale creato per proprio conto, secondo la sua particolare concezione della vita politica, lo strumento per soddisfare nel modo migliore i suoi bisogni, indipendentemente da ogni intervento estraneo”.

Quella dell’indipendenza nazionale è definita una “ideologia”. Di essa si riconosce che sia “stata un potente lievito di progresso; ha fatto superare i meschini campanilismi in un senso di più vasta solidarietà contro l’oppressione degli stranieri dominatori; ha eliminato molti degli inciampi che ostacolavano la circolazione degli uomini e delle merci; ha fatto estendere entro il territorio di ciascun nuovo stato alle popolazioni più arretrate le istituzioni e gli ordinamenti delle popolazioni più civili”. C’è un “ma”. Questa ideologia – in forma degenerata si tratta dei nazionalismi – “portava però in sé i germi dell’imperialismo capitalista, che la nostra generazione ha visto ingigantire, sino alla formazione degli stati totalitari ed allo scatenarsi delle guerre mondiali. La nazione non è ora più considerata come lo storico prodotto della convivenza di uomini che, pervenuti grazie ad un lungo processo ad una maggiore unità di costumi e di aspirazioni, trovano nel loro stato la forma più efficace per organizzare la vita collettiva entro il quadro di tutta la società umana; è invece divenuta un’entità divina, un organismo che deve pensare solo alla propria esistenza ed al proprio sviluppo, senza in alcun modo curarsi del danno che gli altri possano risentirne”.

Sembra di sentire le parole pronunciate da Josef Mayr-Nusser nel luglio 1938, in occasione della pubblicazione di un altro Manifesto, quello “della razza”: “Oggi tutti parlano della comunità etnica alla quale tutto il resto dovrebbe essere subordinato. Valori come ‘sangue e suolo’ che, indubbiamente, nei limiti loro imposti dal Creatore, hanno una grande importanza, vengono oggi assolutizzati e la vita culturale di interi popoli viene costruita su fondamenta insicure, come lo è tuttora la questione razziale. Il singolo ha valore esclusivamente in quanto membro del corpo etnico”.

La continuazione, nel Manifesto di Ventotene, è anch’essa tragicamente attuale: “La sovranità assoluta degli stati nazionali ha portato alla volontà di dominio di ciascuno di essi, poiché ciascuno si sente minacciato dalla potenza degli altri e considera suo ‘spazio vitale’ territori sempre più vasti”.
“Questa volontà di dominio non potrebbe acquietarsi che nella egemonia dello stato più forte su tutti gli altri asserviti”.
“Anche nei periodi di pace, considerati come soste per la preparazione alle inevitabili guerre successive, la volontà dei ceti militari predomina ormai in molti paesi su quella dei ceti civili”.
“In poche giornate vengono distrutti i risultati di decenni di sforzi compiuti per aumentare il benessere collettivo”.
Mala tempora currunt.

 

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