Crisi ecclesiale e segni dei tempi

E’ molto diffusa, non solo nella cultura odierna, ma anche tra i cristiani e tra i preti, una chiave di lettura dell’attuale crisi della Chiesa del tutto negativa e pessimista (“Chiesa al tramonto…”, “Chiesa allo sfacelo…”), a danno di una visuale di Fede che da chi vive tale crisi dall’interno dovrebbe risultare più che ovvia al solo guardare la storia biblica e quella della Chiesa stessa. I dati che avallano l’interpretazione pessimista di certo non mancano: calo nel numero dei preti e loro età media parecchio avanzata, diminuzione dei praticanti, chiusura di Conventi o addirittura estinzione di certi Istituti religiosi. E’ da capire il pessimismo anche all’interno della Chiesa, ma è più che mai necessario ricordare che tale sentimento contrasta nettamente con la Fede, non fosse altro perché è lo Spirito Santo l’anima della Chiesa… e non è certo ammissibile che se ne sia andato in pensione o sia malato d’Alzheimer…

E’ urgente una vera e propria conversione di mentalità a questo riguardo, anzitutto da parte dei preti, ma che poi dovrà essere condivisa con i laici in occasioni diverse e molteplici: la crisi reale che la Chiesa sta sperimentando va letta e interpretata secondo la categoria evangelica dei “segni dei tempi” (cfr. Mt 16,1-3): fenomeni di vasta portata dietro i quali vi è Dio stesso, Signore della storia, che provoca la sua Chiesa a cambiare e ad assumere gli atteggiamenti adeguati alle nuove situazioni. A partire dal Concilio Vaticano II la categoria evangelica dei segni dei tempi è stata utilizzata per i cambiamenti che avvengono “aldilà” della Chiesa. E’ tempo e ora di adoperarla per interpretare nell’ottica della Fede ciò che sta accadendo al suo interno e riconoscere con umiltà che la crisi in atto a livello ecclesiale è appunto un “segno dei tempi”. Per ridestare nella Chiesa la consapevolezza della sua identità e della sua missione, la Provvidenza di Dio è pienamente libera di adoperare gli strumenti o le strategie che vuole, anche se ai nostri occhi possono apparire sorprendenti, se non addirittura sconcertanti. (Come non ricordare, a tale proposito, che se l’annuncio del Vangelo ha potuto superare i ristretti confini di Gerusalemme è stato “grazie” alla persecuzione anticristiana – scoppiata in seguito al martirio di Stefano – che costrinse i discepoli di Cristo a fuggire all’estero, dando loro in tal modo l’opportunità di annunciare il vangelo ai pagani? Cfr. Atti 8,1-4; 11,19-21).

Non mancano le chiavi di lettura per interpretare la crisi della Chiesa come “segno dei tempi”. Due in particolare vanno tenute presenti.

La prima è data dal fatto che uno dei primi e più importanti documenti sulla Chiesa emanati dal Concilio Vaticano II (Lumen Gentium) non mette al primo posto la gerarchia, il Magistero, le persone consacrate, ma bensì il Popolo di Dio, costituito – come è noto – in massima parte da laici. In tale contesto lo si presenta come il vero soggetto responsabile dell’evangelizzazione, il che  supera e accantona la diffusa visione del clero come unico soggetto della missione, di cui i laici sarebbero semplicemente i destinatari. L’attuale crisi che sta sperimentando la Chiesa non è allora provocazione provvidenziale a calare nel concreto della nostra epoca quelle affermazioni tanto solenni, rimaste fin’ora in buona parte sulla carta?

L’altra chiave di lettura viene dalla martellante insistenza di Papa Francesco. Uno dei suoi primi documenti magisteriali, com’è noto, è stata la Costituzione Apostolica Evangelii Gaudium (La gioia del Vangelo). Spesso torna il richiamo al dovere di annunciare il vangelo da parte dei laici e alla loro competenza, in tal senso, derivante dal Battesimo. A un certo punto, dopo aver portato l’esempio dei primi discepoli che si ritrovarono allo stesso tempo annunciatori, se ne esce con un interrogativo provocatorio: “E noi che cosa aspettiamo?”  (EG 120).

E’ ovvio che le modalità di tale annuncio saranno condizionate ed esplicitate da diversi fattori (indole personale, doti, situazioni di vita e molto altro ancora),  ma è fuori dubbio che esso compete a tutti, senza eccezione alcuna.

Insomma, possiamo coltivare senz’altro il “sospetto” che la crisi che stiamo vivendo nella Chiesa nient’altro sia che una provocazione della Provvidenza a una conversione di mentalità, che non sarà facile, ma sarà comunque possibile.

Allora non avrà più senso il parlare di “sfacelo” o, di “tramonto autunnale” per dire di che cosa si tratta. Sarà sensato, semmai, parlare di “stagione invernale” durante la quale si prepara il rigoglio della nuova primavera. Infatti, da che mondo è mondo, non c’è mai stato un inverno cui non sia seguita una primavera.

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