Fatti, non ideologie

Un amico commercialista mi confidava giorni fa di aver avvallato la scelta di un proprio cliente, artigiano extracomunitario con cinque figli e un discreto giro di affari, di chiudere la partita IVA e di starsene a casa sbarcando il lunario con il sussidio pubblico. “Fatti due conti, non c’è dubbio che gli convenisse”, confermava il professionista, decisamente stralunato, pur lontano anni luce da derive padane. Storture politico-amministrative. Da non generalizzare. Ma – detto senza sciocchi ideologismi – oggettive e clamorose. Da condannare, se non prontamente sanate, perché realmente offensive di qua e di là del Po, nei confronti di chi, indigeno o meno, fatica a trovare non solo un po’ di slancio ideale per andare avanti, ma un appiglio economico a cui aggrapparsi, per salire su un carro in corsa che non fa più fermate.

L’oggettività è uno snodo cruciale, ma sempre meno frequentato. E’ quella che ti costringe, governante e cittadino, a riconoscere chi tende una mano perché in fuga da una reale minaccia per la sua vita, armi o fame che sia. Ma anche quella che ti invita ad ammettere che le tue radici cristiane non possono tornare di moda solo perché, come vorrebbero farti credere dal megafono di un gazebo, qualcuno starebbe per minacciarle. Se si sono avvizzite, se languono, non dipende dal nemico migrante. Siamo noi ad averle immolate sull’altare dell’individualismo imperante di questa società altamente tecnologica, iperconnessa, ma priva – lo nota bene Nando Pagnoncelli nel suo libro fresco di stampa (vedi recensione sull’ultimo VT) – di legami di fiducia, perché ormai vedova anche solo di notizie certe, condivise, indubitabili. Oggettive, per l’appunto.

Oggettivo è chi sa chiamare strage, barbara e disumana, quella che per l’ennesima volta – ma per quante altre, ancora? – ci ributta nella nostra quotidianità più tristi e allibiti. Drammaticamente privi di fiducia nel volto che ci sfila accanto al mercato o in autobus. Ma oggettivo è anche chi sa riconoscere che la spirale vendicativa della violenza non può che generare altra violenza, perché “tutto è perduto con la guerra”: lo diceva Pio XII nel 1939, ma anche quel padre Paolo Dall’Oglio tuttora inghiottito nell’oblio siriano.

Come leggere, per altri versi, se non con il crollo (anche) della fiducia, i numeri certificati del recentissimo rapporto Istat su matrimonio e famiglia (altro elemento oggettivo), impietosi nel mostrare come negli ultimi vent'anni le separazioni siano aumentate del 70,7% e i divorzi quasi raddoppiati, così come, in soli sette anni, risultano duplicate le unioni di fatto, a dimostrazione che gli italiani si sposano sempre meno e quando lo fanno si separano sempre prima: in media dopo sedici anni, dieci soltanto in caso di matrimoni recenti.

Oggettivo è chi, dentro la Chiesa, non mette la testa sotto la sabbia: ascolta nelle aule liturgiche l’eco ogni domenica più lunga, nota genitori sempre meno coinvolti nell’educazione cristiana dei propri figli, preti e laici inevitabilmente dal respiro corto. E che condividono sì l’appello straordinario di Francesco risuonato con vigore anche nella cattedrale fiorentina di Santa Maria del Fiore al convegno ecclesiale nazionale ma, pur con tutta la buona volontà, si ritrovano ad aprire le braccia sconsolati nello sperimentare la difficoltà di una comunità in “uscita”, come la sogna il Papa. Certo, c'è chi ci prova: basta chiedere alle parrocchie che da qui a dicembre accoglieranno centoventi migranti in tutto il Trentino. Se non è, oggettivamente, “uscita” questa, cos’è? Di certo, non chiamiamola ideologia.

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