Frontiera Natisone

Come si vive oggi in questi sette comuni, dove il terremoto del 1976 è un ricordo non ancora dimenticato. Lo sloveno è lingua madre, l'emigrazione molto radicata

Venzone, Gemona, Artegna, Taipana, Lusevera, Trasaghis, Bordano, Osoppo, Montenars, Buja sono località distrutte dal terremoto del Friuli-Venezia Giulia del 6 maggio 1976 che ha provocato quasi mille morti e 45 mila senza tetto. I comuni investiti principalmente dal sisma furono 77.

Fra le zone colpite anche l'alta e media valle del fiume Isonzo, in Slovenia, interessando in particolare i comuni di Tomino, Caporetto, Canale d'Isonzo e Plezzo. La ricostruzione ha sanato le gravissime ferite inferte dal sisma di maggio e delle scosse dell'11 e del 15 settembre successivo. Le popolazioni dei comuni disastrati furono trasferite negli alberghi di Grado, Lignano, Sabbiadoro, Jesolo e in altre località marinare. Il Trentino si era mosso con la massima tempestività dando tangibili segni di solidarietà ben oltre la fase dell'emergenza consolidando rapporti di collaborazione e di amicizia attraverso varie forme di gemellaggio. Taluni rapporti si sono affievoliti con il venir meno dei protagonisti.

Tornare sui luoghi del terremoto ti dà il senso di un profondo cambiamento nelle cose, nei centri abitati, nella natura e negli uomini. E' il tempo che cammina lasciandosi dietro i ricordi di una tragedia immane che solo i protagonisti diretti, i superstiti, amano raccontare. C'è ormai una generazione che si affida ai ricordi degli adulti, come accadeva nel dopoguerra dimentica, ed anche poco interessata alla tragedia, se non per i lutti, quelli sì difficili da rimuovere.

E' così anche nelle valli del fiume Natisone con i sette comuni, parte nel fondovalle ed altri abbarbicati sulle pendici montuose, zona periferica rispetto all'epicentro del sisma, a suo tempo psicologicamente molto scossa con danni materiali ingenti al patrimonio civile e religioso, interamente risanato. La zona aveva già subito danni immani durante la Grande Guerra. Il terremoto è arrivato come un “extra” che ha comunque messo a dura prova la popolazione falcidiata dall'emigrazione, in una condizione di povertà diffusa e congenita, accentuata dall'essere linea di frontiera con l'ex Yugoslavia comunista.

Cividale fa da apriporta, Caporetto in Slovenia da sbarramento in altura. Nel mezzo ci stanno i comuni di Drenchia, Grimacco, Pulfero, San Leonardo, San Pietro al Natisone, Savogna e Stregna con le loro mille case sparse e centri frazionali, con meno di 6 mila abitanti complessivamente. Alla periferia di Caporetto, prima dell'inserimento della Slovenia fra gli Stati membri dell'Unione europea (1 maggio 2004 – l'adozione dell'euro al posto delle precedente moneta nazionale, il tallero sloveno, è avvenuta il 1 gennaio 2007), carabinieri, guardia di finanza e milizia slovena alla frontiera, si dimostravano inflessibili nel controllo dei documenti e del materiale trasportato. Adesso nell'ex area doganale sopravvive un supermarket per la vendita di prodotti tipici.

Le acque del torrente Natisone sono prese d'assalto dalla gente dell'uno e dell'altro fronte alla ricerca di refrigerio in queste giornate assolate, mentre le macchine italiane sfrecciano verso la cittadella per il pieno di benzina, a costi nettamente inferiori. Gli anni e il nuovo corso politico non hanno cancellato le discordie nazionaliste, i vecchi rancori dell'anteguerra, i morti nelle foibe e la rotta di Caporetto, Kobarid in sloveno. In Slovenia c'è una comunità autoctona italiana nella parte istriana. Nelle Valli del Natisone il tricolore sui pennoni di numerose abitazioni private rappresentano una deliberata esibizione di sentimenti revanscisti, pur fra una popolazione pacifica e superstite nei molti frangenti tragici di una storia incancellabile. La lingua comune, lo sloveno, parlata in famiglia, recitata e cantata in chiesa, per le grandi differenze dialettali non consente di comunicare fra le popolazioni di qua e di là di Caporetto. La battaglia di Caporetto, celebrata da monumenti e cimeli militari come dodicesima battaglia dell'Isonzo (Schlacht von Karfreit, o Zwoelfte Isonzoschlact in tedesco), durante il primo conflitto mondiale tra il Regio esercito italiano e le forze austro-ungariche e tedesche dal 24 ottobre al 12 novembre 1917, con centinaia di migliaia di morti dall'una e dall'altra parte e la sconfitta per l'Italia, è lo spettro che vaga sulle valli del Natisone e sul Matajur , o monte Re che domina la zona con la catena del Colovrat, nonostante che le unità italiane si riorganizzassero per fermare le truppe austro-ungariche nella successiva prima battaglia del Piave. Si trattò di sconfitte pesanti, nonostante l'inferiorità numerica dell'Austria-Ungheria, che costrinsero alle dimissioni il comandante supremo dell'esercito italiano, Luigi Cadorna. Reminiscenze storiche per contestualizzare, luoghi situazioni, e stati d'animo di abitanti attenti con i loro amministratori ed anche i loro educatori, parroci ed altri educatori alle nuove opportunità in campo sociale e politico.

In un redazionale firmato dai sette sindaci si parla delle difficoltà di perseguire la via che, senza nulla disperdere del patrimonio ereditato, restituisca alle loro valli la linfa economica e culturalmente vitale, che le faccia assurgere nuovamente al ruolo naturale di punto d'incontro e di scambio fra etnie, culture ed economie, certi che è sulla conoscenza del passato che si costruisce un solido futuro. La valutazione dei primi cittadini si spinge anche sul piano delle cause che hanno determinato il degrado dell'economia, della cultura e della lingua, ravvisate in motivazioni di ordine geografico, politici, economici e strategici che hanno determinato quasi la morte per asfissia, contrastata da qualche fiammella intellettuale che, cercando ossigeno, apriva fessure sul passato e sul futuro. Frutto delle menti migliori della zona è anche la recente pubblicazione dal titolo: “Valli del Natisone – Nediske doline” della Cooperativa Lipa editrice. Con saggi sull’ambiente, cultura materiale, arte, tradizioni popolari, lingua e storia.

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