“Dietro front”

Stop ai vitalizi. E' questa le decisione della Giunta regionale del Trentino Alto Adige-Sūdtirol. Lo ha annunciato il presidente Ugo Rossi, dopo giorni e giorni di contestazioni a tutti i livelli che hanno fatto seguito alla pubblicazione anche nominativa delle somme erogate ed erogabili. Rossi ha parlato di decisione chiara per dare credibilità alla politica. La cancellazione riguarda anche gli importi calcolati con il nuovo sistema contributivo in fase di decollo con questa legislatura. Si tratta di un passo importante ed anche sollecito, per ora parziale, in quanto resta in sospeso la questione degli ex consiglieri che parlano di diritti acquisiti e non di privilegi. La giunta su quest'aspetto controverso della vicenda dei vitalizi, ha affidato al professor Luca Nogler l'incarico per un parere legale, sul quadro giuridico di intervento, anche retroattivo, sui vitalizi, sulle relative anticipazioni e sugli accantonamenti del cosiddetto fondo “Family”. Le prospettive formulate in prima istanza quale correttivo di un sistema di erogazione extra large delle previdenze consiliari è quella di componenti dei consigli provinciali e regionale fruitori solo dell'indennità di carica con accantonamenti pensionistici a loro carico. L'esecutivo ha ufficialmente annunciato di destinare tutte le somme recuperate (si tratta di qualche decina di milioni) ad un apposito fondo regionale, vincolato a politiche in campo welfare. Una brutta pagina di storia locale, quella appena vissuta, che consente tuttavia di esprimere una valutazione positiva sulla presenza di ottimi anticorpi nella comunità locale, sul positivo recepimento delle motivazioni alla base della contestazione esplicita e sommessa della gente per previdenze straordinarie e sulla reattività dei sistemi legislativo e gestionali in essere che hanno permesso in tempi relativamente brevi una svolta purificatrice. Nella piccola guerra fra elettori ed eletti in quest'occasione hanno vinto tutti. La “nostra” Autonomia ha dimostrato di essere in grado di riscattarsi, di correggere storture ed errori, con i propri strumenti legislativi, in questo caso grazie al dissenso, esteso e trasversale a tutte le categorie sociali.

C'è un altro “dietro front”, atteso, ben più pericoloso perché soggiacente ad ordini militari, a fucili, cannoni e corazzate, ad uomini armati di tutto punto, ammassati sul lato russo dello stretto di Kerch, il sottile canale che divide la Crimea dalla Russia. Basta una scintilla ed è guerra. Dietro questa forza ci sta infatti il presidente russo, Vladimir Putin, e il suo Parlamento che ha dato il via libera ad un possibile intervento armato in Ucraina per annettersi la Crimea dove la popolazione russa rappresenta il 60% degli abitanti. I soldati russi hanno valicato il confine, dettando legge in casa altrui, con l'imbracciare le armi contro un nemico “pulito”. Sono le tragiche conseguenze di settimane di lotta e di sangue, di fughe e destituzioni e nuove nomine, di manifestazioni di piazza, di morti e di feriti, con uno sconfitto, l'ex presidente Viktor Janukovich e una vincente, l'ex detenuta politica Julija Timoshenko. L'appoggio a Kiev viene dall'America e compattamente anche dall'Europa, tutti a far la voce grossa, a promettere aiuti e a paventare l'esclusione della Russia dal G8. La speranza del Papa, anche in questo caso come per la Siria, è che la comunità internazionale operi per sostenere ogni iniziativa a favore del dialogo e della concordia per giungere e consolidare una pacificazione dell'Ucraina. Putin risponde e parla di colpo di Stato riservandosi il diritto di usare la forza. Lo ha già fatto in Georgia l'8 agosto del 2008, anche in quel caso contro una nazione affamata e lanciando più di un missile, facendo morti e distruzioni. Per adesso ha dichiarato di essere in procinto di tastare un supermissile. L'arma del ricatto non è solo l'esercito, ma anche il gas con la cancellazione dello sconto a partire da da aprile, promesso da Gazprom nel dicembre scorso. Nel frattempo il Consiglio delle organizzazioni religiose di Kiev con rappresentanti della Chiesa greco cattolica, cattolica romana e di diverse confessioni ortodosse legate al Patriarcato di Mosca, hanno firmato un documento per chiedere all'esercito russo di lasciare l'Ucraina, che non ha bisogno di loro e può farcela da sola. Le Chiese compattamente, dentro e fuori il Paese, stanno dunque pregando per la pace, confidando nella “grande fede in Dio” del popolo che in attesa di tempi migliori in cui prevalga il dialogo, distribuisce frutta ed acqua ai militari delle opposte fazioni. Ed è una bella lezione per tutti.

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