Partita a poker?

Ci si chiede se quella di Renzi assomigli sempre più ad una classica partita a poker fatta di rilanci continui, sia suoi che dei contendenti, perché tutti hanno paura che il gioco si fermi e si sia costretti a scoprire le carte che ciascuno ha in mano. La speranza che nutre ciascuno che rilancia è che invece così gli avversari abbandonino la partita e lascino perdere.

E’ infatti difficile scorgere una qualche razionalità nello scontro generalizzato che si è ormai aperto intorno alle proposte del governo. Detto in termini semplificati, Renzi e il suo governo devono accelerare a tutti i costi per non perdere il vento favorevole che sperano li porti ad un successo alle elezioni europee (e amministrative: altrettanto importanti); i numerosi avversari, dentro e fuori la maggioranza, sperano invece di inceppare il percorso delle riforme e di ottenere così una “crisi morbida” che ridimensioni pesantemente il nuovo leader. Non crediamo che, almeno nella sua maggioranza e dintorni, lo si voglia veramente far cadere, perché si sa bene che questo avrebbe un effetto “colpo di coda” che travolgerebbe tutti. Lo sa anche Renzi, che, ovviamente, ci specula sopra ricordandolo a tutti.

Il risultato è che si assiste ad una commedia senza senso. Gli avversari gridano denunciando improbabili deviazioni: autoritarismo, colpi di mano, dittature, sfracelli costituzionali e via dicendo. E’ tristissimo vedere persone che un tempo sono state autorevoli giuristi ridotte a sventolare fantasmi davanti a platee populiste (non che sia la prima volta: Vittorio Emanuele Orlando alla Costituente è un illustre precedente, ma, francamente, fece la sua opposizione contro i “giovani” di allora con molto più stile). I sostenitori non vogliono sentir parlare di una seria ridiscussione del loro progetto, perché temono, non infondatamente, che questo servirebbe solo ad impantanare tutto, con modifiche che rispondono più ad interessi settoriali di varie componenti che a prospettive di respiro politico.

Il fatto è che la razionalità della riforma è stata impostata in maniera debole. Sull’onda di un dato pacificamente accettato (grillini a parte), cioè che non ha senso avere due maggioranze politiche che, provenienti dallo stesso corpo rappresentativo (i cittadini con diritto di voto) possano giocare a scavalcarsi nella lotta politica per il sostegno al governo, si è poi ridotta la questione ad una mera faccenda di costi, per compiacere l’antipolitica diffusa. Invece la questione avrebbe dovuto essere impostata sulla possibilità di avere due diverse tipologie di rappresentanza: una tipicamente politico-ideologica, come è la Camera fondata sui partiti, una di altra natura, che calmierasse, proprio per questo, le decisioni che la Camera politica può prendere sotto l’impulso delle ragioni della politica-politicante.

Apparentemente è quanto fa la proposta di riforma attuale, che finge di trarre la rappresentanza dalle “autonomie locali”, ma scorda che anche queste sono di estrazione politica e dunque si ricadrebbe più o meno nella dinamica delle “due maggioranze” propria di quest’ultima fase: infatti sindaci, presidenti di regione, eletti dai consigli regionali sono sempre “uomini di partito”, anzi spesso uomini di partito “in carriera”, cioè alla ricerca di posizioni future nella nomenclatura nazionale, visto i limiti alla durata dei mandati attualmente in vigore.

Difficile immaginare che a temperare questa assemblea possano bastare 21 cittadini nominati per “alti meriti” dal Presidente della Repubblica, che, c’è da scommetterlo, finirebbe o col doverli scegliere col vecchio manuale Cencelli, oppure, se agisse di testa sua, sarebbe sottoposto alle solite critiche contro la sua “dittatura” che gli arriverebbero da tutti gli esclusi.

Francamente non possiamo credere che Renzi e i suoi possano essere insensibili ad osservazioni di buon senso come queste, ma comprendiamo che blocchino tutto nel terrore di non cogliere l’obiettivo in tempo e di aprire il varco ad una ridda di emendamenti che stravolgerebbero la riforma (ovviamente ci sono in gioco 315 posti in meno per la classe politica…).

Il pericolo del gioco fazioso che si sta svolgendo, più o meno sotterraneamente, e che coinvolge ambienti politici, giornalistici, e non solo, è altissimo: un paese che liquidi brutalmente un tentativo, per quanto zoppicante, di radicale ricambio della propria classe politica pagherebbe il prezzo del tramonto di credibilità a livello interno ed internazionale. Non crediamo sia necessario spendere parole per far capire cosa ciò significherebbe.

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