Vent’anni fa, l’orrore in Rwanda

Un genocidio consumato nell’indifferenza del mondo, dell’Onu e dei mass media internazionali

A pensarci sembra ancora incredibile che sia potuto accadere. Così in fretta, poi. In poco meno di 90 giorni, uno sterminio orribile. Si susseguivano le notizie, ma erano confuse, magmatiche, contraddittorie. Il Rwanda. Se l’osservate sulla carta geografica, è minuscolo il Rwanda. Accanto al Burundi. Metà del territorio della Svizzera. Eppure capitò che in poche settimane furono assassinate 800 mila persone (ma nessuno ha mai saputo il numero neppure approssimativo di quella mattanza!).

I tutsi le vittime, e gli assassini erano gli hutu: non tutti, i più intransigenti e potenti degli hutu, i quali non si accontentarono di massacrare l’etnia rivale, ma fecero fuori anche quella parte degli hutu moderati che si battevano per una pacifica convivenza nazionale. E tutto questo nell’ignoranza e nell’indifferenza del mondo. Dell’Onu e dei mass media internazionali. Forse troppo calamitati sulla novità del Sudafrica da poco liberato dall’apartheid, sulle prime elezioni democratiche e sulla figura di Nelson Mandela.

Un genocidio repentino. Senza che di fatto nessuno potesse intervenire. Sì, era presente un contingente dei caschi blu – pochi, demotivati, svogliati – in funzione di peacekeeper. Irrilevanti, dunque. E, infatti, giravano a iosa i kalashnikov e ne veniva fatto uso facile da parte persino di adolescenti addestrati e i machete che sfiguravano orribilmente i volti quando i carnefici decidevano di lasciare in vita qualcuno. Radio Mille Colline diffondeva la propaganda estremista degli hutu più scalmanati: fare terra bruciata; non lasciare un tutsi vivo che sia uno; fargliela pagare e impossessarsi dei loro beni. In Europa si sarebbe visto qualcosa di simile, rimpicciolito nell’entità dei morti e ingigantito nell’efferatezza dei modi, a Srebrenica esattamente un anno dopo, all’inizio dell’estate 1995. Esseri umani inimicati fra loro fino ad annientarsi. E non è stata l’ultima volta.

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