Con Frei Betto la denuncia si fa impegno

Alle storture della “global-colonizzazione” i cristiani possono rispondere cambiando stile di vita nella direzione di maggiore giustizia sociale

“Papa Francesco è un papa che riscalda i cuori”. Frei Betto è felice per il nuovo Papa, lo ha detto chiaramente all'incontro tenutosi lunedì 7 aprile a Rovereto ospite del Comitato delle associazioni per la Pace e i Diritti umani, prima tappa di un giro di cinque giorni in Italia su invito di Rete Radie Resch. Frei Betto ha parlato sul tema “Globalizzare la giustizia e la solidarietà”, a partire dalla comprensione delle migrazioni e dei conflitti. Un tema quanto mai attuale su cui insiste spesso anche papa Francesco. E’ contento, Frei Betto, anche perché ha riscattato e resa attuale la teologia della liberazione intesa come una riflessione cristiana “nella direzione di un’azione rivolta ai poveri e nella costruzione di un mondo di giustizia e di pace”.

Frate domenicano (dello stesso ordine di cui fa parte Gustavo Gutierrez, il fondatore, 40 anni fa, della teologia della liberazione), frei Betto durante il periodo della dittatura militare in Brasile (dal 1964 al 1984) è stato imprigionato e torturato ripetutamente. “Dai sotterranei della storia” e “Battesimo di sangue” sono suoi libri fondamentali della storia dei martiri sudamericani. Lui è riuscito a superare i traumi delle sevizie, non così un suo confratello, frei Tito, morto tragicamente anni dopo per il peso che sulla sua psiche quelle torture avevano procurato in modo indelebile. Ed è anche in nome di coloro che “sono caduti nel solco” come seme che porta frutto che Frei Betto continua a girare il Brasile e il mondo per portare la sua testimonianza.

La Sala della Filarmonica lunedì sera era strapiena. Più di 300 persone: molti giovani, alcuni parroci e missionari presenti; è stata la palese dimostrazione di come ci sia voglia di capire e di impegnarsi. Per frei Betto più che di globalizzazione – “è un termine sbagliato” -, occorre riferirsi alla global-colonizzazione che meglio evidenzia quella che rimane una tragica realtà di un mondo solcato da troppe ingiustizie. Ingiustizie che sono generate, protratte e perpetuate spesso da “modelli consumistici imposti in ogni parte del mondo”, per niente rispettosi dei diversi contesti culturali.

Modello di globalizzazione corretta e rispettosa – per frei Betto – è stato invece il cristianesimo delle origini sull’esempio di Gesù che trascende il giudaismo per farsi messaggio davvero universale, fondato sulla fede e sull’amore. L’esempio della samaritana e del centurione romano evidenziano il rispetto verso tutti, un amore fondato sulla dignità di ogni donna e di ogni uomo che calcano i loro piedi sulla terra in ogni tempo. Perché l’amore – ha sottolineato il frate domenicano – non è mellifluo e melenso, generico affetto, ma “uscire da sé per entrare in solidarietà con gli altri”. In questo senso Gesù non ha voluto fondare una religione, ma proporre “un modello di vita”, “costruire un mondo di giustizia”; e per questo a tutti coloro che si dichiarano cristiani “è proposta e richiesta coerenza di vita”.

Più che di poveri, frei Betto preferisce parlare di impoveriti, cioè di un sistema e di un meccanismo che continua a generare i poveri. Gli organismi internazionali hanno dimostrato recentemente che “appena 85 persone nel mondo vantano un reddito equivalente a quello di 3,5 miliardi di abitanti del nostro pianeta!”. E ancora: “Oggi siamo 7 miliardi di persone sulla terra e più della metà vive sotto il livello della povertà secondo l’Onu!”.

E’ appassionata la sua denuncia, non è accademia; è un impegno di vita quotidiana. Che futuro ha un mondo – si chiede – in cui masse umane sterminate, persone in carne ed ossa, vivono con meno di 1 dollaro al giorno? Un mondo in cui i capitali – il denaro inteso come idolo assoluto – si muovono al di sopra di tutto con perfetta  libertà di proliferare e moltiplicarsi a vantaggio solo  di pochi. Dove le droghe (che procurano una “felicità onirica”) dilagano in tutti i ceti sociali senza distinzione tra ricchi e poveri e sono la risposta sbagliata al vuoto esistenziale e anche alla ricerca di senso che c’è in ogni persona. Il fatto è che questo sistema sociale – afferma con forza – ci sta trasformando tutti in meri consumatori, e manco ce ne rendiamo conto perché si sta diffondendo il sentimento che l’unico modello di felicità sia quello che fa perno sul possesso e sull’egoismo.

Ma per frei Betto ci sono motivi di speranza nelle esperienze popolari che stanno vivendo diverse realtà latinoamericane che faticosamente cercano strade sociali alternative a quella che ha chiamato “pecunia-crazia”, il potere dei soldi.

Anche Mao Valpiana, storico esponente del movimento nonviolento, ha messo il dito sulla piaga del mercato delle armi, floridissimo, e sul fatto che qualcosa possiamo farlo ognuno di noi, con la denuncia, l’educazione dei giovani, la scelta del 5 per mille per le associazioni di difesa popolare nonviolenta, il fermento che ancora c’è in una società civile non del tutto sopita (se ne parlerà il 25 aprile all'Arena di Verona). E i numerosi giovani presenti e attenti sono essi stessi il miglior segnale di speranza.

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