P. Ghetta, tempra fassana

P. Frumenzio Ghetta è morto a 94 anni. Una vita dedicata agli ultimi e alla cultura

La comunità ladina della valle di Fassa si appresta ad accogliere, giovedì 24 aprile, la salma di padre Frumenzio Ghetta, deceduto martedì scorso, a 94 anni, presso l'infermeria del convento dei frati francescani in via Grazioli e Trento. Il religioso sarà infatti sepolto nel cimitero della parrocchia, a Vigo di Fassa, dove era nato l'11 febbraio 1920. Il rito funebre è fissato per le 14.30 nella Pieve San Giovanni. Debilitato nel fisico, ma non nello spirito, sempre vivace, attento e battagliero, a causa degli acciacchi dell'età nelle ultime settimane era stato costretto anche ad un ricovero ospedaliero al San Camillo dove per anni ha prestato servizio pastorale accanto agli ammalati. Ma prima del trasferimento del carcere a Gardolo ha riservato molte delle sue energie fra i detenuti della casa circondariale di via Pilati.

Dappertutto era riverito e non disdegnava un saluto a nessuna delle persone che incontrava per strada durante i suoi trasferimenti, con quel suo passo caratteristico frettoloso, solo in tempi recenti, dopo gli 85 anni, rallentato da guai fisici ad una gamba. Amava intrattenersi con la gente, ascoltare, rispondere, colloquiare, animandosi in molte occasioni quando s'addentrava in temi particolari religiosi, civili, ma soprattutto storici. Alla ricerca storiografica ha dedicato anni di vita. Negli uffici delle Biblioteche e dell'Archivio di Stato era una presenza costante fin che le forze lo hanno retto. Al compimento dei 90 anni, quando dalla cella del convento i superiori hanno ritenuto opportuno il suo trasferimento in una cameretta dell'infermeria sulla collina Belvedere che sovrasta la Busa, il suo spirito era ancora vivacissimo, scherzoso. Considerava la nuova sistemazione come un qualcosa in più per continuare ad essere di aiuto ai confratelli ammalati, ed a quelli ancora impegnati in campo culturale che si facevano ambasciatori per quesiti interpretativi di vecchi documenti o “ammuffite scartoffie”, come Ghetta era solito chiamare pergamene dimenticate ed atti polverosi che si perdevano nella notte dei tempi.

A reggere anche in questi ultimi tempi di fatica e di malessere il suo spirito montanaro, una tempra forgiata sulle Dolomiti, fra la sua gente che amava più di ogni altra cosa, che ha aiutato a crescere e a maturare nelle difesa di un'identità secolare, la ladinità, basata su valori ancestrali, sul credo religioso cristiano che ha rappresentato un baluardo contro le insidie della povertà e dell'isolamento. E questo per secoli.

Sorrideva, invitando a soprassedere con un ampio movimento delle braccia, quando qualcuno ricordava a Frumenzio Ghetta, il frutto dei suoi lavori, tra i più conosciuti il ritrovamento della pergamena con l'Aquila di San Venceslao negli anni Settanta, la ricostruzione della linea confinaria sulla Marmolada con il recupero dei “cippi di confinamento”, occultati da neve, ghiaccio e incuria, pubblicazioni, articoli e lectio tenute in varie occasioni su temi specifici. Moltissimi i ricercatori che hanno potuto contare sui suoi suggerimenti, sui suoi consigli. La richiesta di un'interpretazione si trasformava in moltissime occasioni in una lezione di vita e di storia da parte di Ghetta, un'aggiunta a sorpresa in termini di novità, a fatti e relazioni. Ma nel quotidiano, anche all'infermeria, fr. Frumenzio ha continuato a mantenere i rapporti di amicizia con i convalligiani che lo andavano a trovare e i poveracci, incontrati e aiutati per strada, riabilitati grazie al sostegno materiale e alle parole di conforto. Per espressa volontà, zio Tonin, come è chiamato dai familiari, torna fra la sua gente per essere sepolto nella tomba di famiglia.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina