No alla tortura senza se e ma

Nuove polemiche fra Comitato Onu e Vaticano in materia di tortura e pedofilia. Facendosi interprete delle richieste delle associazioni delle vittime di abusi sessuali, da considerare come forme di tortura, l'organismo ONU chiede l'inserimento di questo reato nella Convenzione sulle torture in discussione a Ginevra. La richiesta si accompagna ad una nuova denuncia di abusi da parte di uomini di Chiesa in alcuni Paesi, dopo l'adesione della Santa Sede alla Convezione firmata nel 2002.

La risposta al Comitato Onu l'ha fornita il rappresentante del Vaticano a Ginevra mons. Silvano Tomasi al 52° Comitato ONU sulla Convenzione contro la tortura (Cat). La Santa Sede è impegnata a combattere la tortura con “l'intenzione primaria di difendere i diritti inviolabili della persona umana”, sottolineando che la Convenzione si applica allo Stato della Città del Vaticano ma che è, dunque, “fuorviante” pensare che abbia giurisdizione su ogni membro della Chiesa cattolica. Tomasi definisce la Convenzione uno strumento valido per “combattere atti che costituiscono una grave offesa alla dignità umana”, ribadendo l'apprezzamento della delegazione da lui presieduta alla linea Onu e l'adesione dello Stato vaticano sin dal 2002. Ha quindi messo in guardia da interpretazioni errate sul raggio d'azione di questo strumento, riportate da taluni “esperti”, tendenti ad un'ingiustificata generalizzazione. Riferendosi alla Dichiarazione interpretativa fornita al momento dell'adesione, l'osservatore permanente della Santa Sede all'Onu di Ginevra, ha evidenziato che la Convenzione si applica allo Stato della Città del Vaticano. Va sottolineato, ha detto il vescovo, che la Santa Sede “non ha giurisdizione” su “ogni membro della Chiesa cattolica”. E dunque “le persone che vivono in un particolare Paese sono sottoposte alla giurisdizione delle legittime autorità di quel Paese”. “Le autorità statali – ha proseguito – sono obbligate a proteggere, e quando necessario, perseguire le persone sotto la loro giurisdizione”. La Santa Sede – ha poi osservato – esercita la stessa autorità su quanti vivono nella Città dello Stato del Vaticano in accordo alle proprie leggi. Ricordando le numerose prese di posizione del Magistero, in particolare nel Secondo dopoguerra, la Santa Sede ha promosso e continuerà a promuovere a livello globale i diritti umani che sono necessari per relazioni amichevoli tra i popoli e la pace nel mondo. Diversa per Tomasi è dunque la responsabilità della Santa Sede verso la Convenzione contro la tortura e quello che è il ruolo morale della stessa verso tutti coloro che si dicono cattolici. La giurisdizione legale e la responsabilità morale sono due cose, l'una diversa dall'altra. “Non è una questione di lana caprina, ma di chiarezza e prudenza, evitando che la burocrazia si sostituisca, a suo dire, al processo democratico e decisionale degli Stati”. Per il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, equiparare le sofferenze e i traumi derivati dagli abusi sessuali su minori a quelli inflitti con la tortura, vuol dire impostare la questione in modo chiaramente “ingannevole e forzato per qualsiasi osservatore obiettivo”.

Lo stesso Tomasi si è fatto promotore di una nota chiarificatrice dal punto di vista giuridico, delle responsabilità della Santa Sede sia nell'applicazione della Convenzione contro la tortura, che per quanto riguarda i crimini commessi su minorenni (pedofilia). Non ammette né se, né ma la reiterata condanna di Francesco dei casi di violenza su minori, dentro e fuori la Chiesa.

Nella Giornata nazionale per la lotta alla pedofilia, celebrata lunedì 5 maggio, Telefono Azzurro, ha chiesto al Parlamento di applicare la normativa internazionale sulla lotta alla pedofilia mediante l'istituzione del “Registro permanente” dei casi di abuso. L'Interpool, tra il 2009 e il 2013 ha accertato 3.500 vittime mondiali, in aumento specie sul web, veicolo di materiale pedopornografico e luogo di adescamento di minori. Per il Consiglio d'Europa un bambino su cinque è vittima di abusi sessuali, per il 70% di sesso femminile. Nel 2013 i casi raccolti da Telefono Azzurro in Italia sono stati 240, da considerare per difetto data la mancata denuncia di molti fatti. Alla politica lo stesso organismo chiede di fare un passo avanti sulle direttive europee, in gran parte inattuate.

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