Col Papa alla lavagna

Roma – E' arrivato questo 10 maggio in cui il Papa incontra il mondo della scuola: l'attesa si respira nell'aria qui a Roma. Ci siamo arrivati ieri – un'ottantina tra docenti e non – con il viaggio organizzato dall'Ufficio diocesano Educazione e Scuola, sotto la guida di don Lamberto Agostini. In S. Pietro, il nostro gruppo sembra perdersi nell'immensità solenne della Basilica, ma la Messa nella cappella di S. Giuseppe è raccolta e sentita. Fuori, l'imponente macchina organizzativa accoglie i partecipanti, un flusso continuo. La Provvidenza, nella persona di don Ivan Maffeis, ci riserva una postazione dedicata e alle 14 ci troviamo quasi in pole position, senza lunghe code. Arriva la notizia che siamo ormai 350mila: sembra impossibile, una marea di gente e uno sventolio unico di foulard azzurri. Attendono il Papa studenti di ogni età, insegnanti, dirigenti, gruppi organizzati, per rappresentare il mondo della scuola così variegato e ricco di problemi, ma anche di risorse (dal Trentino siamo arrivati in 400, complessivamente!). Quest'uomo dal sorriso aperto e dalle braccia protese, colpisce, commuove ed esplode in un boato quando raggiunge il palco, che è stato pensato come una grande aula scolastica, con una lavagna dove dei bambini hanno appeso foglietti con “la scuola che vorrei”. Al card. Bagnasco e alla ministra dell'istruzione Giannini si alternano cantanti (da Renga ad Agliardi per chiudere con una intensa Fiorella Mannoia), comici e attori (uno spumeggiante Max Giusto, una frizzante Veronica Pivetti e un Giulio Scarpati un po' sottotono) che hanno portato i loro ricordi di studenti e le testimonianze di docenti e dirigenti di scuole dove le difficoltà sembrano farla da padrone ma dove l'impegno, la volontà e la tenacia di insegnanti e genitori danno il meglio di sé.

Ci piace la scelta di portare alla ribalta la "scuola minore", anche se forse così la "foto" della scuola appare un po' parziale ma ci pensa il Papa a sistemare la lacuna quando inizia il suo intervento, dicendo che si vede che la manifestazione non è un lamento, ma una festa, una festa per la scuola!

Sulla piazza cala il silenzio e sembra quasi di essere tutti in aula, davanti a un maestro, uno di quelli bravi che sanno catturare l'attenzione senza alzare mai la voce, ma che con tono dolce ti dice cose che colpiscono, che entrano dentro e poi non dimentichi come quando, dopo avere citato un proverbio africano, ci invita a ripeterlo tutti assieme, più volte: "Per educare un figlio, ci vuole un villaggio!". Si rivolge agli studenti, ma anche a noi insegnanti e ai genitori, come parte di un unico corpo che lavora assieme per aiutare i ragazzi a "imparare a imparare" perché "è questo il segreto", esclama. Sembra dire cose che si sanno, già sentite ma sembrano attingere nuova forza e nuova dignità dalla semplicità e dalla partecipazione con cui vengono affermate. "L'educazione non può essere neutra. O è positiva o è negativa; o arricchisce o impoverisce; o fa crescere la persona o la deprime, persino può corromperla!": in poche parole tratteggia il compito e la grande responsabilità di chi insegna che un po' spaventa – ci si sente chiamati in causa – ma anche motiva e dà senso al nostro lavoro. Aggiunge poi che la missione della scuola è coltivare il vero, il bene e il bello, dimensioni profondamente intrecciate "se una cosa è vera, è buona ed è bella; se è bella è buona ed è vera e se è buona, è vera ed è bella" e lo fa indicandoci Piazza S. Pietro, guardando la quale si apprende di storia, architettura, religione e astronomia. Ci saluta con l'invito a non lasciarci rubare l'amore per la scuola, ma non prima di aver augurato a tutti noi presenti "una bella strada nella scuola, una strada che faccia crescere le tre lingue, che una persona matura deve saper parlare: la lingua della mente, la lingua del cuore e la lingua delle mani. Ma armoniosamente cioè pensare quello che senti e quello che fai; sentire bene quello che pensi e quello che fai e fare bene quello che pensi e quello senti".

Quando la piazza comincia a svuotarsi, resta una carica di energia buona. Prima di rientrare, facciamo tappa al monastero di San Benedetto a Subiaco in una pace che ci consente di meditare quanto sentito e vissuto. E ripartire.

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