Bosgnachi e Todeschi, nomi che restano

Una ricerca sui toponimi che mantengono vivi nella memoria alcuni episodi della Prima Guerra

Del battaglione di fanti bosniaci, inquadrato nell’esercito austro-ungarico, che tentò nel 1916 di riconquistare il monte Cauriol preso dagli italiani è rimasto il nome dato ad una pietraia lungo la quale, a oltre 2000 metri di quota, cercavano di inerpicarsi: il “Lavé dei Bosgnachi”. Quei soldati non volevano salire, furono foraggiati di rhum per trovare coraggio e, massima malasorte, li massacrò il fuoco amico sotto forma di due colpi di obice sparati dalle postazioni austriache di Ziano di Fiemme. Una strage. E c’è anche chi mormorò che non si trattò di uno sbaglio di tiro. Quasi a rimarcare che quella minoranza rimaneva negletta, ancor più degli altri carne da macello, considerata poco incline a sentirsi parte di un impero, quello asburgico, destinato da lì a pochi anni a scomparire.

I nomi dei luoghi, anche sperduti, attraverso la toponomastica di guerra possono riportare a galla frammenti di storie. Come in questo caso, e in tanti altri.

La filologa Lydia Flӧss, origini tedesche ma trentina da sempre, lavora alla Soprintendenza per i beni librari e archivistici e di toponomastica si è occupata in numerose pubblicazioni. Sull’ultimo numero della rivista “Studi trentini”, pubblicata dalla Società di studi trentini di scienze storiche e da pochi giorni nelle librerie di Trento, prende a prestito la banca dati del Dizionario toponomastico per andare sulle tracce della Grande Guerra attraverso i nomi dei luoghi, anche minimi, legati ad episodi e manufatti del tempo.

A “Taliani” e “Todeschi” spettano sentieri, trincee, pozzi, baraccamenti. Ponti e strade toccano spesso a Russi e Serbi, prigionieri costretti a realizzarle. Non manca qualche mistero. Come quello di Spiazzo, dalle parti del rifugio Mandron, dove è documentato il “Cimitèro de lì Inglesi”, ma lì non risulta che i britannici ci siano mai stati.

Sul monte Bondone, vicino a Sopramonte, il “Sas del Polaco” ricorda invece che un soldato di quelle origini morì per lo scoppio di una bomba a mano.

A Rovereto, vicino al cimitero, sopravvive “Albania”. In quel fazzoletto di terra c’erano baracche fatiscenti come quelle viste, forse, da parecchi trentini che, vestita la divisa austroungarica, occuparono tra il 1917 e il 1918 il Paese delle Aquile. C’è pure la “Fossa dei Russi”, a Ronzo Chienis, “dove venivano gettati i corpi dei prigionieri deceduti durante i lavori di costruzione della strada che, partendo dal passo in località Bordala, portava in direzione nord ai piedi del Monte Stivo”. E, a san Michele all’Adige, un frutteto porta il nome di “Galizia”, evocando le lontane pianure dove migliaia di trentini combatterono contro i Russi. “Di fronte a eventi che hanno lasciato segni profondi come una guerra, e in particolar modo come la Grande Guerra, – riflette Lydia Flӧss – l’uomo ha (così) conservato nella memoria i luoghi e i popoli che di quegli eventi sono stati i protagonisti anche attraverso la denominazione dei posti, pure di modesta estensione, che per lui erano e sono i posti del quotidiano”. A testimonianza perenne, presente e futura.

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