La classe dirigente non va in paradiso

Sotto accusa al Festival di Trento la tecnocrazia burocratica. E alcune proposte di rinnovarla

Questo nono Festival, favorito dalla presenza del premier Renzi che ha portato Trento in tutti i titoli delle tv e dei giornali, ci lascia l' appello quasi unanime degli oltre cento relatori alternatisi da venerdì 30 maggio a lunedì 2 giugno: l’urgenza di rinnovare, anzi di riformare l'attuale classe dirigente. Non in nome di una lotta populista alle “caste”, ma in virtù di un processo meritocratico di selezione di una nuova leadership, capace di visione e attenta al valore del bene comune.

Sono stati trancianti gli analisti – in particolare i due premi Nobel Eric Masquin e Daniel McFadden – nell’indicare l’obiettivo di un miglioramento qualitativo dell’attuale dirigenza, spesso “seduta” sulla conservazione della propria leadership oligarchica. In chiave italiana, ci ha pensato l’ex ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, a documentare il basso livello formativo dei tecnocrati e l’“immobilismo” che impedisce l’accesso alle stanze del potere. Troppo blandi, invece, i meccanismi per rimuovere dagli incarichi le persone rivelatesi non all’altezza. Ma il problema principale segnalato da Giovannini è la difficoltà a valorizzare il capitale umano attraverso un investimento convinto nel campo della formazione. È positivo il fatto che 67mila ragazzi italiani si siano iscritti al progetto “Garanzia Giovani” per favorire l’inserimento di qualità nel mondo del lavoro. Non basta però, come ha riconosciuto a Trento lo stesso presidente del Consiglio, Matteo Renzi (vedi pag. 5), che ha inserito nella sua lista di priorità il dovere di riuscire a premiare le intelligenze del nostro Paese. “È inaccettabile ‘sta storia che chi va all’estero è un cervello e chi rimane qui è un caprone”, ha scandito, coperto da un fragoroso applauso, promettendo poi da “rottamatore” il dovere di farsi da parte: “Tra dieci anni sia io che i giovani ministri del mio governo, per essere coerenti, non dovremo più fare questo mestiere”. A Festival finito, par di capire che non basterà il decreto “Sblocca Italia”, annunciato qui per risolvere dietro segnalazione dei sindaci i ritardi più annosi, se non si riesce anche a sbloccare la classe dirigente. Un freno è rappresentato dalla “tecnostruttura dello Stato”, la “nomenclatura” analizzata nel fresco volume di Massimo Mucchetti e Roberto Mania: “Quest’alta, altissima burocrazia – hanno spiegato – è un potere non-politico, che non cerca e non ha legittimità popolare. Un corpaccione tecnocratico che non solo ha impedito le riforme, ma ha deciso di prendere il potere. Negli ultimi anni quelli che davvero comandano nei ministeri non sono i ministri, ma i capi di gabinetto”. Pur con la tara di ogni generalizzazione, questa classe dirigente “gelosa del proprio ruolo e del proprio potere, miope di vedute”, non merita di andare… in paradiso. Per arrivarci, la prospettiva è quella di un tessuto formativo più robusto, radicato nel territorio, che si ispiri all’economia civile. L’hanno ribadito gli economisti Stefano Zamagni e Luigino Bruni a partire dalla figura di Adriano Olivetti: “Oggi abbiamo creato una sottocultura a livello sociale, per cui chi pratica la virtù deve quasi vergognarsi, nascondersi perché teme il giudizio negativo degli altri. Ci sono imprese civili di vario tipo che vengono definite alternative, marginali, mentre tutto lo spazio viene dato a chi pratica il vizio. O cambiamo la nostra matrice culturale o non ci saremo più”, l’ultimatum di Zamagni rilanciato dallo scoiattolo di Trento.

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