Betta-Grillo, gioiello da conoscere

Gli interni del palazzo svelati nel recente libro di Andrea Frisinghelli

In copertina un particolare del dipinto “Ruggero alla corte di Alcina”, tratto dall'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. Quattro scene del famoso poema – attribuite a Giovanni di Dio Galvagni (1763-1819), artista originario di Isera – campeggiano sulle pareti del grande salone del piano nobile di palazzo Betta-Grillo, a Rovereto.

A guardarlo da fuori – con la sua semplicità e la necessità di un accurato restauro – non sembrerebbe, eppure, all’interno, l’edificio tra via Santa Maria e viale Schio è un vero gioiello. Chi non ha avuto la fortuna di visitarlo in occasione dell'iniziativa Palazzi Aperti, tenutasi lo scorso 11 maggio, può leggere il libro di Andrea Frisinghelli, dal titolo “Palazzo Betta-Grillo a Rovereto – Storia di un'antica dimora e del suo patrimonio artistico”, uscito di recente con le edizioni Osiride.

Si tratta di una novità nel panorama della storia dei palazzi roveretani, in quanto la struttura è una realtà sconosciuta ai più. Molto poco era stato scritto finora sulle opere d'arte custodite al suo interno. Gli ambienti più ricchi e sfarzosi sono le stanze del primo piano, chiamato nobile. Assieme all'opera già citata, si trovano “Ruggero salva Angelica dal mostro marino”, “Ruggero, Bradamante e Marfisa” e “Lotta tra Orlando e Rodomonte”. Finora non erano state fatte attribuzioni d’autore su questi quattro grandi dipinti (alti 225 cm e di una lunghezza che varia da un minimo di 248 ad un massimo di 276 cm) che simulano dei quadri alle pareti entro finte cornici decorate da fregi a rilievo.

Frisinghelli cita recenti studi dell'architetto Michelangelo Lupo, non ancora pubblicati, dove l'autore ipotizza la mano appunto di Giovanni di Dio Galvagni. Lo stesso stile si trova infatti nello studio del pittore o nell'appartamento del fratello Luigi presso la casa di famiglia. Inoltre, come accade a casa Galvagni ad Isera, le scene dell'Orlando Furioso riprodotte sono individuabili mediante citazioni riportate in cartigli. Spiccano poi nella Sala del Trionfo della Giustizia e della Pace le opere dei cugini Gasparantonio e Giovanni Baroni Cavalcabò. Si tratta di episodi biblici sulla vita di Mosè. Due sono di Gasparantonio, la “Manna mandata agli Ebrei” e “Le coturnici mandate agli Ebrei” (212×395 cm).

“Con ogni probabilità i dipinti risalgono agli anni Trenta del Settecento, come l'intero apparato decorativo della sala”, scrive Frisinghelli, rifacendosi allo storico dell'arte Bruno Passamani. Gasparantonio Baroni Cavalcabò (1682-1759) è molto noto a Rovereto per i bellissimi affreschi della chiesa di San Giovanni Battista di borgo Sacco. Il nome della sala deriva dall'affresco centrale del soffitto, di autore ignoto, che rappresenta appunto il trionfo della Giustizia e della Pace. La prima, avvolta da un manto rosso, regge una spada, la seconda, vestita in verde, un rametto di ulivo. Rilevanti anche le sale del Trionfo della Arti, dello Stemma e dei Ritratti della famiglia Betta, proprietaria dell'edificio, innalzato nel XVII secolo, dal 1728 al 1899, quando passò alla famiglia Grillo.

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