“Così curiamo i feriti siriani”

“Una goccia nell’oceano, solo una goccia nell’oceano”. Emil, team manager della Tarshiha Football School, di mestiere fa l’infermiere al Western Galilee Medical Center di Nahariya, città a una ventina di chilometri da Tarshiha. Racconta delle decine e decine di feriti siriani vittime dei combattimenti nelle zone vicine al confine israelo-siriano lungo le Alture del Golan accolti negli ultimi mesi con discrezione da quello che a tutti gli effetti è un Paese nemico, Israele, curati e poi rimandati in Siria. Sono giovani uomini con ferite da arma da fuoco, presumibilmente colpiti nei combattimenti tra forze governative e insorti, ma anche civili, e tra loro donne e bambini, con ferite da scoppio. Il confine è saldamente presidiato dall’esercito israeliano, ma nonostante la ferma politica di non intervento nel conflitto siriano, Israele tollera questo piccolo intervento umanitario che rispetto alla tragedia in atto in Siria è soltanto una goccia, come ripete Emil scuotendo il capo, ma dopo decenni di ostilità tra i due Paesi rappresenta un piccolo segno di buona volontà.

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