Fra privato e primato

Un colloquio con la superiora dell'Istituto diventa materia da ispettori ministeriali. Il vescovo Bressan: “La tendenza sessuale non si può giudicare. Ma un insegnante di scuola cattolica deve assumere il progetto portandolo avanti con la parola, la professionalità e la testimonianza di vita”

Un colloquio privato, in una sala dell’Istituto scolastico Sacro Cuore (parificata con materna, elementari, medie inferiori e superiori, un migliaio di alunni) a due passi dalla cattedrale, nel cuore del centro storico, all’improvviso diventa pubblico quando una docente precaria, apprezzata per il suo lavoro, sbotta davanti alla madre superiora che, a contratto scaduto e in vista di possibili nuovi incarichi, le chiede informazioni in merito alle voci sulla sua presunta omosessualità. Sbotta, denuncia politicamente (Comitati Tsipras) e consegna indirettamente il confronto nelle voraci fauci dei media nazionali. Strabuzza gli occhi ministro Giannini. E decide di vederci chiaro, inviando gli ispettori a Trento, terra autonoma che fa della scuola provincializzata uno dei suoi vanti. Il Governatore Rossi, competente sul versante istruzione, attende. Attende anche il vescovo di Trento, monsignor Luigi Bressan, un passato da diplomatico, dote a quanto pare mancata alle protagoniste della vicenda. Ricorda, Bressan, ai microfoni della radio diocesana Trentino inBlu, il documento della Santa Sede del 1975 contrario “alla discriminazione nei confronti delle persone che hanno orientamento sessuale differenziato”. “D’altro canto – precisa – la scuola cattolica ha una sua identità, una sua finalità e corresponsabilità con le famiglie. L’insegnante ne deve assumere il progetto portandolo avanti con la parola, la professionalità e con la testimonianza di vita. Informare un insegnante che ci sono delle voci, questo la preside può farlo. Ma io non ho alcun elemento per giudicare l’insegnante. Dipende se la pratica dell’omosessualità è testimoniata anche a scuola: questo può creare della confusione; se è solo tendenza è diverso. perché la tendenza, l’intenzionalità non si può giudicare”.

La superiora sostiene che quelle voci (vedi intervista) a scuola giravano e creavano imbarazzo. L'insegnante nega e, agli stessi microfoni, ribadisce: “Ho aderito al progetto educativo, la dirigenza ha sempre manifestato soddisfazione per il mio lavoro, come gli studenti e le famiglie”. E il fatto di aver manifestato in classe opinioni sul versante sessuale in classe? “Accuse totalmente infondate, perché svolgo una disciplina obbligatoria del piano didattico. Quello facevo, mai affrontato altre questioni. A scuola esistono percorsi legati alla sfera affettiva, ma con esperti esterni. Io non vi ho mai preso parte”.

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