Il gigante del baron Beppe

BORGO VALSUGANA – Con il suo comportamento bizzarro ed un po' sofferto ne ha viste davvero di tutti i colori. Ma da qualche tempo, oramai, quel grande faggio a candelabro sul dolce pianoro sommitale, poco prima di malga Costa in Val di Sella a Borgo, non c'è più. Aveva quasi due secoli di vita, esattamente 180 anni, quando è morto poco prima della fine del secolo scorso. Il “faggio del baron Beppe”, così come veniva chiamato, era il gigante della valle. La sua altezza era stata misurata in 32 metri ed il suo fusto presentava una circonferenza di quasi 7 metri.

Un nome davvero originale, legato a quello del suo antico proprietario, il barone Giuseppe Ceschi che si racconta essere stato davvero molto innamorato della sua pianta. Era stato messo a dimora verso la fine del secolo XVIII in Val di Sella in una zona dove, oltre alla sua originalissima figura a candelabro, ancora oggi sono presenti dei grandi larici ed abeti. E, poco prima di malga Costa, si trovano anche delle antiche roveri. Una di queste raggiunge un’altezza di 19 metri ed una circonferenza di oltre 6 metri. Ma il faggio del Baron Beppe è il più famoso, lo è ancor più degli imponenti abeti bianchi presenti attorno a Villa Degasperi.

La sua notorietà, oltre che ai suoi proprietari (dopo i Ceschi, anche i Costa), la deve anche al fatto di essere stato inserito, nel 1989, fra i 300 alberi più monumentali del nostro Paese.

Tutti gli volevano bene ed hanno fatto di tutto per salvarlo ma, poco dopo la sua consacrazione, la sua chioma appariva priva di vita. Quel faggio capitozzato, come quelli più famosi dell’Abruzzo, parente del castagno e della quercia, per tanto tempo ha vissuto in una zona dove non ci sono sassi e non ristagna l’acqua. Umidità e freschezza, infatti, le preferisce nell’aria. Quando è arrivata la notorietà, però, quasi come per dire “ma chi me l’ha fatto fare di vedere tutta questa gente attorno a me” è crollato uno dei tre elementi di cui si componeva la pianta. Il Corpo Forestale consigliò ai proprietari di eliminare anche la parte rimanente di chioma, lasciando in piedi solo la base del tronco e i primi monconi dei rami. “Almeno – dichiarava allora il comandante della locale stazione forestale – finché la natura non lo avrà disfatto, ci potremo godere il suo ricordo”.

Ma al “Baron Beppe”, ormai, queste parole non interessavano più. Egli aveva già raggiunto tutti i suoi vecchi proprietari che gli avevano voluto bene.

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