La nogara di nonno Nando

“Sotto i suoi rami, che dalla primavera all'estate inoltrata si stendevano come enormi braccia amiche e protettive, abbiamo trascorso la nostra infanzia”

Lavis – Non è proprio antichissima, a vederla sembra ancora giovane, ma ha comunque superato alla grande la settantina e non si direbbe. Si tratta del nostro albero delle noci (Juglans regia) da noi tutti chiamato, da sempre, la “nogara”, nome storico che ci è stato tramandato da nostro nonno Ferdinando (Nando) e da noi rispettosamente ripetuto per tradizione di famiglia. Si trovava e si trova tutt’ora in fondo alla nostra campagna, quasi sul confine con l’allora “Ricovero”, vicino alla “cavezara” che limitava i campi e le pergole con le viti e le piante da frutto. Sotto i suoi rami, che dalla primavera all’estate inoltrata si stendevano come enormi braccia amiche e protettive, abbiamo trascorso la nostra indimenticata infanzia.

Ci sedevamo tutt'intorno, sull'erba e sull'ultimo rigurgito di campagna, per sentire il nonno Nando e le sue sempre attuali novità della giornata. Immancabile però l'eterna divagazione sulla sovrastante "nogara", sulle "nos'" e anche sulle abitudini, tradizioni e anche leggende, derivanti da questa maestosa e ospitale pianta casalinga.

Interrogavamo il nonno per sapere, con ripetuta insistenza, le varie composizioni della noce: la “scorza”, il mallo, il guscio (la sgussa), poi il gheriglio (el piz), l’anima (l’animela), ecc.

Si parlava poi dell'operazione "raccolta" delle noci e qui il nonno ci ripeteva per filo e per segno tutte le modalità, la battitura dall'albero con un grosso bastone e la raccolta da terra con l'assaggio delle più mature, aprendole anche senza lo schiaccianoci. Ed era a questo punto che, sempre il nonno, pontificava con la sua frase storica, quella famosa del "pan e nos' en magnar da spos"; naturalmente noi bambini assaporavamo questa delizia facendo merenda sull'erba, naturalmente con pane e noci.

Quando poi il nonno Nando toccava il tasto del "nocino" ,la cosa diventava seria e guai ad interromperlo durante le sue spiegazioni su quel liquore tipico che derivava dalle noci appunto.

Quelle che si utilizzavano per il nocino, aggiungeva il nonno, dovevano essere staccate dall’albero proprio la notte di S. Giovanni (in giugno), quando la scorza (drupa) era ancora verde e l’infusione, quasi sempre con la grappa di casa, dava un liquore che era considerato dai contadini (e non solo da loro) una panacea per tutti i mali…

Storie e divagazioni, semplici ma costruttive, sempre sul tema della noce e quindi dell'albero che ci ospitava ai suoi piedi. Come quelle che ci portava ogni estate la maestra Anna che veniva da Bressanone in visita ai nostri vicini di casa e che tirava in ballo persino il manzoniano "I Promessi Sposi" con l'episodio del “miracolo delle noci", raccontato più volte e del quale non ci stancavamo mai.

Da qualche anno la nostra campagna è passata di mano, diventando il Parco verde della Casa di Riposo, la “nogara” del nonno è però rimasta grande e maestosa al suo posto naturale. Non c’è invece più la cavezara dei nostri sogni e racconti di fanciulli, la pianta delle noci ha cambiato così spettatori e visitatori; altre storie quindi, altre vite, altre testimonianze e ricordi. Si alterneranno e integreranno i nostri, quelli di quando il nonno ci ripeteva, tra l’altro, la solita cantilena: “pan e nos’ en magnar da spos”!

Giovanni Rossi

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