Le radici dell’ispirazione

Non una moda, ma piuttosto una dimostrazione di profonda sensibilità

Non si tratta di una banale moda quanto piuttosto di profonda sensibilità. Sta di fatto che negli ultimi due decenni alcuni degli artisti trentini di più spiccata fama internazionale hanno indirizzato una dose importante della loro sensibilità e creatività al mondo vegetale, specificatamente alle piante, agli alberi.

Così il solandro/parigino Paolo Vallorz (1931), che ne è quasi ossessionato (“Li vedo intensamente anche quando sono chiuso in una stanza buia a pensare”), e ne ha dipinto ad olio su tela delle serie variegate e assai intense.

Così il suo amico Luciano Zanoni (1946), che ha realizzato fra l’altro meli, ulivi e larici, a grandezza naturale, in ferro battuto: sono negli USA, in Svizzera, ma anche nelle valli del Noce.

Lavora invece il rame con una tecnica originalissima e sopraffina Settimo Tamanini (1943). Più noto come gioielliere (“Mastro 7”) si è rivelato uno scultore intriso di sensibilità e di fede, in grado di produrre a grandezza naturale le piante della tradizione, soprattutto quelle bibliche (meli, ulivi, viti, fichi, castagni …). Di grande impatto. Non a caso sue opere sono presenti anche in Israele.

Accanto a questi Maestri dai capelli bianchi va posto Matteo Boato (1971) che oltre alle Case danzanti, alle Mani e agli altri suoi cicli più noti, da anni lavora alla realizzazione, sempre ad olio su tela, di Betulle, a interi boschi, di una sensibilità rara. Poliglotta, di formazione internazionale, reduce da Lugano e da Losanna, per preparare una mostra è appena stato per quasi un mese a dipingere a Mosca, in Russia, dove le foreste sanno bene cosa sono: ne hanno poco meno di 10 milioni di kmq.

Collocato anagraficamente fra queste due generazioni è Marco Arman (1954), che prima di fare il pittore per anni ha lavorato come forestale fra i boschi della Val di Cembra. E’ da tale pratica quotidiana, sistematica, diuturna con le piante che è nato uno dei suoi capolavori, “Arboreto salvatico”: venti quadri di buone dimensioni, ad olio su tela, dedicati ciascuno a una delle più tradizionali piante trentine, da lui così ben conosciute e così tanto amate, quadri presentati al pubblico la prima volta nella mostra tenuta presso la Galleria d’Arte “Il Castello” di Trento nella primavera del 2001.

Si tratta di un ciclo nato in piena consonanza con l’omonimo libro di Mario Rigoni Stern (1921-2008), la raccolta di racconti (Einaudi 1991) dove il grande scrittore di Asiago aveva scelto venti alberi a lui particolarmente cari e li aveva presentati fornendone le caratteristiche botaniche e ambientali, illustrandone la storia e le peculiarità, spiegandone gli influssi che hanno avuto nella cultura popolare e nella letteratura, e insieme animando il suo arboreto con le proprie esperienze di uomo di montagna, i ricordi, le riflessioni personali, la nostalgia di «quando gli uomini vivevano con la natura». Mario Rigoni Stern esalta una profonda consonanza di vicende e di destini tra gli uomini e gli alberi. Gli uni così come gli altri chiusi nella parabola eterna di nascita e morte, gioia e sofferenza, destinati magari a vivere a lungo, ma comunque condannati a sparire, ad essere sostituiti. Uomini di montagna e di fede l’uno e l’altro, lo scrittore dell’altopiano e il pittore della valle dell’Avisio non potevano non entrare in profonda sintonia.

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